Tito Boeri e Roberto Perotti hanno di recente fatto discutere per un articolo in cui propongono di mutare la composizione dei finanziamenti pubblici alle università, aumentando considerevolmente la parte determinata su base premiale. Così da privilegiare i Dipartimenti più meritevoli.

Ma premiare i Dipartimenti considerati più forti risponde esattamente alla logica neoliberale secondo cui sia interesse di tutti che i ricchi paghino meno tasse di modo che essi possano così investire meglio a vantaggio di tutti (anche se ormai dalla crisi economica del 2008 è chiaro che avviene il contrario) e che non si debbano oltre misura sostenere economicamente i ceti meno abbienti dato che essi non sono in grado di utilizzare quelle risorse per l’interesse generale («li spendereste per i vostri capriccioni» diceva il megadirettore generale a Fantozzi).

Il merito, cioè, diventa un privilegio. Nei progetti di ricerca di interesse nazionale 2019 – un altro esempio – i capofila già premiati in passato acquisivano da bando un punteggio maggiore rispetto agli altri.

In forma radicalizzata è l’argomento forte del famigerato The bell curve, il best seller del 1994 di due rispettabili psicologi di Harvard, Herrnstein e Murray, che cercava di dimostrare l’antieconomicità della redistribuzione, finendo anche per identificare razzisticamente i gruppi etnici a cui inutilmente si stava fornendo sostegno economico pubblico, dato che i test di intelligenza avrebbero dimostrato chiaramente la naturalità della loro incapacità di contribuire attivamente al pubblico bene. Anche le madri single e i malati a loro avviso avevano mediamente qualcosa che non andava in origine.

È molto indicativo che Boeri e Perotti contrappongano l’idea del finanziamento su “base premiale” a quello conferito “a pioggia”. Quest’ultimo è in effetti uno dei motivi chiave con cui di recente si è invocato l’avvento del governo Draghi contro la cultura dei ristori distribuiti “a tutti”.

In realtà i finanziamenti pubblici, essendo universali, devono necessariamente erogarsi a pioggia, essendo volti a finanziare diritti legati al soddisfacimento di bisogni, a maggior ragione in epoche emergenziali, ma anche in certa misura in quelle più ordinarie. È l’austerità neoliberista (tutta orientata ad alimentare l’offerta e cioè le imprese a discapito di lavoratori, precari, disoccupati e migranti) che invece ha imposto una narrazione giustificatrice dei tagli verticali (come quelli imposti dalla Gelmini che ha ridotto l’Università alla canna del gas), secondo cui, essendoci scarsità di risorse, allora è necessario evitare la pioggia e orientare il flusso sui meritevoli: in genere chi è già ricco. Inutile ricordare che ad essere sempre più scarse sono le risorse pubbliche mentre quelle private aumentano e si concentrano.

Tornando all’Università, Boeri e Perotti rifiutano le critiche di antidemocraticità, sostenendo che essi hanno detto chiaramente di essere favorevoli ad un sistema di borse di studio che premi i meritevoli di estrazione non abbiente. Dispositivo, questo, prettamente neo-liberale ed elitista: la piramide sociale viene cioè rinfrescata da quella minoranza di fortunati che riescono con il loro sforzo e talento ad ascendere la scala sociale. Ma in una concezione democratica intesa a promuovere il kratos del demos anche nelle forme moderate previste dalla nostra costituzione repubblicana, il fine non può essere fornire un alto livello di studi superiori ad una minoranza talentuosa, per quanto di origine non facoltosa, bensì stimolare tali opportunità per un’ampia parte della base sociale.

L’Italia peraltro è un paese che secolarmente non vive delle conglomerazioni di talento auspicate dai due bocconiani, ma di una plurale e ineguagliata distribuzione nazionale di un patrimonio di scienza e cultura che non ha mai sopportato primati. Ogni nostra università ha le sue eccellenze come ogni città ha il suo grande artista e scienziato: anche per questo la qualità del nostro sistema universitario trascende le ingannevoli cifre dei ranking internazionali, che riducono il sapere alle performance aziendali e finanziarie calcolate dalle agenzie di rating.

Boeri e Perotti protestano anche che gli si dica che mostrano di credere nell’oggettività del sistema di valutazione oggi proposto dall’agenzia Anvur su modello anglosassone, sulla base di un’ingenua impostazione positivistica, confutata e anzi ridicolizzata da fiumi di inchiostro, spesso eccellente, che qui evitiamo di richiamare in dettaglio