«Era un giorno luminoso e freddo d’aprile; l’orologio segnava le tredici». Ispirate proprio dalla prima entry del diario di Winston Smith, datata 4 aprile, martedì scorso 187 sale cinematografiche d’America, più alcune in Canada, Svezia, Croazia, Nuova Zelanda e Inghilterra hanno tenuto proiezioni gratuite, o di beneficenza di 1984, precedute da un’introduzione filmata del suo regista, Michael Radgrave.
Dopo mesi che, in libreria, le vendite del classico distopico di Orwell rimangono alle stelle, l’evento nazionale era stato organizzato in segno di protesta contro i tagli al National Endowment of the Arts e più in generale contro i valori esplicitati dalle politiche di Trump. Visioni post apocalittiche di un pianeta devastato dalla crisi ambientale e controllato da tiranniche oligarchie finanziarie, vanno forte anche tra i molti dei nuovi titoli in arrivo in libreria.

Il TCM Classic Film Festival ha scelto di rispondere allo zeitgeist guardando non al futuro ma indietro. L’edizione 2017 della manifestazione curata dal canale tv Turner Classic Movies sarebbe, in realtà, dedicata alla commedia. Ma il film che l’ha inaugurata, giovedì sera, nella grande sala del Grauman Chinese, restaurata negli splendidi dettagli delle sue cineserie, era di segno opposto. Tratto dal romanzo di John Ball (1965), adattato per lo schermo da Stirling Silliphant e diretto dal canadese Norman Jewison, In the Heat of the Night (in italiano La calda notte dell’ispettore Tibbs), vincitore di quattro Oscar nel 1967, sembra un oggetto molto più vicino all’oggi di quanto dovrebbe essere.

Presenti in sala, a raccontare le genesi del tete a tete infuocato tra lo sceriffo redneck di una cittadina del Mississippi e un detective afroamericano di Philadelphia, alle prese con un omicidio c’erano il produttore Walter Mirish, Norman Jewison e l’attrice Lee Grant, qui alla sua prima scrittura dopo essere stata black listed da McCarthy per 12 anni. Il grande eroe della serata, Sidney Poitier (che da poco ha compiuto 90 anni), elegantissimo e bello come sempre, era seduto tra il pubblico e ha ottenuto l’applauso più grande e commosso. Già amico di Mirish, Poitier era fin dall’inizio l’attore per il ruolo di Virgil Tibbs, un agente della omicidi del nord che, tra un treno e l’altro, si trova bloccato nel vespaio razzista di un paesino rurale a sud della Mason Dixon, linea immaginaria che, ai tempi, Poitier stesso si rifiutò di valicare per le riprese (dopo la brutta avventura con un gruppo bianchi che avevano cercato di buttare lui e Harry Belafonte fuori strada in Georgia).

Su sua richiesta, il film fu infatti girato in Illinois. Sempre di Poitier l’idea che Tibbs avrebbe indossato un abito da $ 1,500 – la cura del vestito un tocco in più nella creazione di un personaggio la cui metodica professionalità, chiarezza d’intenti e coolness contrastano, e mettono in difficoltà, i pregiudizi razziali, la sciatteria investigativa e l’aspetto scomposto, sudaticcio e sovrappeso della sua nemesi, lo sceriffo Gillespie, incarnato con infernale malizia dal method actor Rod Steiger (che vinse l’Oscar). In sala, dopo la proiezione di giovedì, più di uno spettatore ha notato quanto la figura magra e longilinea di Tibbs, il suo comportamento distaccato, razionale, anche quando un’ombra d’ira gli traspare sul volto, ricordino Obama. Ancora attualissima di questo film la bellissima colonna sonora jazzata di Quincy Jones, e la canzone cantata da Ray Charles. E il corto circuito continua: incendiaria come cinquant’anni fa è infatti anche la scena dello schiaffo che Tibbs restituisce a un ricco coltivatore di orchidee razzista. «Maximum green!» avrebbe esclamato Ray Charles di fronte alla scena. «Era così cool», ricorda Jewison «che non ho mai osato chiedergli cosa significasse!».