Doveva essere il film incubo per le aspirazioni presidenziali di Hillary Clinton; ma è più interessante se guardato come lo specchio dell’America dell’antipolitica che sta raccogliendosi intorno alla candidatura di Donald Trump. L’ex segretario di stato non è nemmeno citata per nome nella ricostruzione dell’attacco al consolato americano di Bengasi in cui, l’11 settembre 2012, persero la vita l’ambasciatore Chris Stephens e tre uomini della sicurezza. Ma, oltre alla carica di nemici, difficili da riconoscere, comprendere e fermare, che premono nel buio – come un esercito irreale, di fantasmi o di zombie (è bella l’intuizione visiva)- aldilà dei muri delle residenza del console, gli uomini sul campo (sei ex delle Forze speciali) hanno un altro antagonista: Washington, nome dietro a cui si nasconde un governo (repubblicano o democratico che sia) fatto di burocrati inetti e senza palle.

Bay non ha l’intuito limpido e sovversivo di Eastwood (è probabile che la Paramount immaginasse 13 Hours come un altro American Sniper) e non è mai stato un regista sottile. Ma il suo grottesco machismo ha il pregio dell’ironia. Ci sono più humor, feeling per i personaggi e persino una traccia di senso critico, in dieci minuti di 13 Hours che in due ore e cinquanta di The Revenant-Redivivo.
Seguendo la traccia del libro omonimo, del rispettato giornalista Mitch Zuckoff (autore anche di una biografia orale di Robert Altman), 13 Hours ripercorre gli eventi di quelle tredici ore aderendo al punto di vista di sei mercenari che, a Bengasi per proteggere una base segreta della Cia, si unirono alla battaglia che infuriava intorno al consolato – anche se troppo tardi per salvare Stephens. Incontriamo Jack Silva (John Krasinski) all’aeroporto, dove va a prenderlo Tyrone «Rone» Woods (James Badge Dale).

Tra i due il bromance di un comune passato militare, e di altre missioni come questa, accettate magari, come accenna Jack (che ha una moglie e un bimbo angelici con sui si tiene in contatto via i-Pad) perché a casa ci sono problemi di soldi. Alla base, l’atmosfera non è distesissima, anche se non per colpa della situazione in Libia. Il cattivo del film è infatti il capo della Cia (David Constabile, era Gale in Breaking Bad) che patisce i muscolosissimi, tatuati e barbuti, giganti assoldati per tenerlo vivo: «Vi paghiamo solo per ingozzarvi e fare palestra», sibila spiegando ai nostri che la gente che comanda è andata «a Harvard e Yale».

La figura d’autorità meno spregevole, quella del console, benevolmente dipinto come un idealista, perché crede nella diplomazia, appare inizialmente in absentia, quando Jack, Rone e alcuni dei loro compagni, sono mandati a fare un sopralluogo alla residenza consolare, dove Stephens è atteso il giorno successivo. Basta un colpo d’occhio, e una battuta scambiata con i due rilassatissimi libici della security, per capire che la sicurezza dell’elegante compound con piscina ha più buchi di una fetta di gruviera. Aldilà dei suoi muri chiari e troppo bassi, una città piena di insidie che gli americani annusano ma non sanno decifrare.

Il pericolo è dietro all’angolo di ogni vicolo, al volante di ogni camionetta, in ogni volto. Una scelta quella di Bay che sembra fatta meno di razzismo che della superficiale accettazione di un’alienità fondamentale. Nello sguardo dei mercenari, il nemico è dovunque perché’ sono in luogo che non capiscono. I film si muove velocemente verso l’attacco, che ne risucchia l’ultima ora e mezza in un inferno di blu profondi, squarciati dal giallo duro dei fuochi e delle esplosioni. Le immagini hanno una qualità più pittorica, meno plastica che negli altri film di Bay -alla fotografia è l’australiano Dion Beebe, già con Michael Mann in Miami Vice.
La mise-en -scene abitualmente caotica del regista dei quattro Transformers (il cui brand di cinema ha necessitato di un neologismo tutto suo: bayhem, e cioè un misto tra Bay e mahyem, ovvero caos, calamità) si adatta bene al caos di quello che sta succedendo. I mercenari sono tornati alla base Cia miglia lontano, quando arriva l’Sos del consolato. Stand down – fermi, non siete nemmeno «dei nostri»- dice il detestabile uomo Cia, prima che i contractor ignorino i suoi ordini e si tuffino nella notte verso lo scontro.