«Lo spazio è importante, non solo perché funziona come una traccia di noi Ma soprattutto è importante perché accoglie la pesantezza caratteristica dei corpi. Noi crediamo di legarci a relazioni, sentimenti, persone; ma siamo molto più legati ai luoghi e agli oggetti che hanno accolto noi». È una vera e propria dichiarazione di intenti quella che Daniele Petruccioli enuncia nella seconda metà del suo romanzo d’esordio Casa delle madri, per Terrarossa Edizioni (pp. 292, euro 16).

È UNA VISIONE ribadita anche nei titoli delle diverse sezioni del testo, che sempre rimandano alla centralità della casa. All’interno dei diversi spazi abitativi che Petruccioli racconta, chi legge segue la storia di una famiglia, in particolare di Sarabanda, di suo marito Speedy e dei due fratelli gemelli Elia ed Ernesto.
La casa è uno spazio e come tale dice dei corpi che la abitano, che l’hanno acquistata, modificata, rovinata o data in eredità. Dà, come scrive Petruccioli, struttura e forma alle relazioni intessute al suo interno: per esempio nella casa del mare, il primo piano è stato da tempo pignorato dalle banche perché Pinuccio, il fratello di Sarabanda, ha accumulato debiti senza riuscire a venirne a capo. Sua sorella ha allora inscenato per anni un conflitto legale con Pinuccio sulla proprietà, per evitare che anche la sua metà della casa venisse risucchiata nel disastro finanziario dell’adorato fratello.

LA CENTRALITÀ del corpo che deriva direttamente da quella dello spazio, è un’altra linea narrativa fondamentale del romanzo. Nella lettura colpisce particolarmente il racconto del sesso: le prime esperienze di Elia ed Ernesto adolescenti e anche un incontro lungo e meraviglioso che uno dei gemelli ha avuto con altri due suoi coetanei. Non c’è artificio nella narrazione, né un eccessivo ricorso alla «storia» delle emozioni: è tutto costruito a partire dal corpo, da come reagisce a quello delle altre e degli altri, provocando esperienze sconvolgenti pure quando si tratta solo di baci.
Il corpo è anche la morte: di nuovo Petruccioli scrive con sincerità, affidandosi alla messa in scena della realtà, permettendo alle parole di narrarla. Il risultato – nel caso del dolore fisico, della menomazione, della malattia e poi della fine – è racchiuso in pagine che non danno consolazione, né lasciano indifferenti.
A una costruzione così architettonica nel romanzo si associa un racconto del tempo altrettanto consapevole, visionario e realistico insieme. Fin dall’inizio, la sensazione è quella di un caleidoscopio o di guardare alle diverse epoche della vita dei personaggi attraverso un cannocchiale.

L’AUTORE SEMBRA, infatti, continuare a indagare la collocazione di ognuno di essi, mentre li proietta in momenti diversi, spostandosi secondo una direzione «non lineare», quantica.
Che abbia una lente, poi, per osservare, è evidente: l’introspezione psicologica dei personaggi e l’analisi delle ragioni delle loro vite, delle fughe e degli errori è profonda. A volte, come dimostrano le parentesi frequentissime e molto lunghe, addirittura strabordante.

QUESTO APPROCCIO di ricerca inesausta della verità delle esistenze dei suoi personaggi si fonda sulla visione che Petruccioli esprime in vari punti del romanzo. Le origini di una psicologia, della personalità e, quindi, dei traumi vanno ricercate in momenti apparentemente insensati e minimi dell’infanzia: «le tragedie si costruiscono e si consumano così, con uno sguardo, una testa che si scuote, la frettolosità di un abbraccio equivocato. Pensano, gli uomini, che ci voglia una sfida agli dèi, un peccato originale. Non sanno che si tratta sempre, invece, degli sguardi che si sfiorano, mancandosi».
Allora, ogni attimo è importante, ogni crepa, divano, la scelta e il sacrificio di acquistare una tenda per l’esterno. Del resto, di fronte all’inesorabilità del caso – Elia e Ernesto sono gemelli, ma uno dei due è malato – all’inconsolabilità del lutto, che cosa resta, se non l’analisi infinita e una casa?