Wayne McGregor è il nuovo direttore del settore danza della Biennale di Venezia. Una nomina che innesca in un istante una sensazione di movimento, di brillantezza, la curiosità verso una visione che riposiziona ogni precedente certezza. Coreografo e regista britannico nato a Stockport nel 1970, fondatore appena 22enne della Ramdom Dance, oggi è alla testa del londinese Wayne McGregor Studio, uno dei più fecondi spazi internazionali per lo sviluppo della danza contemporanea, e della Company Wayne McGregor con cui sorprende per l’evoluzione costante del linguaggio del corpo. Wayne è anche coreografo residente del Royal Ballet di Londra che con lui è portavoce di cosa sia oggi il balletto contemporaneo, un titolo per tutti, Woolf Works, riallestito anche alla Scala con Alessandra Ferri. E poi ci sono progetti con neuroscienziati, le sperimentazioni nell’Intelligenza Artificiale, le incursioni nel cinema, da Harry Potter al nuovissimo Audrey. Lo incontriamo in un vis à vis digitale, un fiume di parole che è un’iniezione di salute.

McGregor, prime reazioni e idee per la Biennale di Venezia?

Sono contentissimo dell’invito. Ho sempre amato Venezia, ho portato la mia compagnia alla Biennale Danza tre volte, visitato frequentemente le Biennali Arte e Architettura. Mi piace la visione di rinascita che ha il nuovo Presidente, Roberto Cicutto, basata su una forte collaborazione tra i direttori dei diversi settori. Non vuol dire che lavoreremo sempre insieme, ma c’è un obbiettivo comune. Nello specifico della danza, vorrei invitare artisti mai stati a Venezia, una Biennale non focalizzata sull’Europa.

Ha dichiarato a The Guardian che le piacerebbe portare spettacoli da paesi come l’Africa, dal Sud America, conferma?

Sì. Ci sono tante forme incredibili di danza contemporanea nel mondo, è fondamentale aprire lo sguardo. Penso a un dialogo tra artisti di culture differenti, è il bello di un festival. Di base poi io amo una danza altamente tecnica, fisica, che ci commuova, voglio vederla esplodere gioiosamente sui palcoscenici della Biennale. E poi mi interessa la realtà virtuale, l’Intelligenza Artificiale. Certo sono le prime idee, vedremo cosa riusciremo a realizzare, ma siamo solo agli inizi ed è un’ottima cosa pensare in grande.

In uno dei suoi lavori più travolgenti, «Autobiography», lei definisce il corpo un archivio vivente. Potremo guardare Venezia e la sua storia allo stesso modo?

Sì. basta pensare al materiale che c’è nell’Archivio della Biennale Danza. Sono stato a Venezia per due settimane, all’ultimo festival, e ho passato del tempo negli archivi. Vedere gli spettacoli di Maurice Béjart in piazza San Marco, gli Events di Merce Cunningham, è stato come avere davanti agli occhi una magnifica linea tesa dal passato al presente. Voglio dare più visibilità alla Biennale Danza, meno in vista internazionalmente delle Biennali Architettura e Arte, anche scavando negli Archivi, un modo per saltare sopra la storia proiettandosi nel futuro.

Durante il primo lockdown lei ha lanciato il progetto Reset 2020, dedicato al sostegno dei danzatori freelance. Qualcosa di simile a Venezia?

Ho lanciato Reset 2020 perché le grandi compagnie del Regno Unito sono riuscite a continuare a sostenere economicamente i propri danzatori, ma moltissimi artisti freelance non hanno supporto, strutture. Una situazione che crea depressione, oltre alla difficoltà di tenersi in forma. Abbiamo dato il via a un programma di dieci settimane. L’aspetto artistico deve equilibrarsi con la gestione economica del fare danza. Devi chiederti come produci te stesso, come costruisci le tue relazioni, come pianifichi un budget, come ottieni denaro, non puoi aspettare solo che ti arrivino soldi dal governo e dai finanziamenti pubblici. Ti aiuta ad avere una buona attitudine mentale. Una sorta di visione olistica che vorrei dare al programma di studio per giovani ballerini e coreografi della Biennale College. In Italia la questione poi mi sembra complicata dal sistema dei finanziamenti. Difficile che un giovane coreografo ottenga il sostegno per una grande produzione, eppure io continuo a incontrare nelle audizioni italiani di altissima formazione, una brillantezza a fronte di un supporto scarso.

Coreografia da “Autobiography”, foto di Richard Davies

A fine novembre sarà disponibile in download e in DVD il documentario «Audrey» di cui lei ha curato le coreografie.

Una giovane e brillante regista, Helena Coan, è venuta a parlarmi del suo progetto su Audrey Hepburn. Sapevo che Audrey aveva studiato al Ballet Rambert e che voleva fare la danzatrice. Ho accettato. Nel film lavoro con tre ballerine, la giovanissima Keira Moore, Francesca Hayward e Alessandra Ferri: interpretano Audrey in diverse fasi della vita. Piccole miniature danzate, finestre sul desiderio intimo di un personaggio dall’incredibile grazia, fisica ed emotiva.

Francesca Hayward e Alessandra Ferri sono già state con lei il volto di Virginia Woolf in età diverse.

Sì, hanno qualcosa in comune. Condividono una sorta di integrità nell’espressione del movimento, una verità nel comunicare. Alessandra è straordinaria e Francesca si sta sviluppando artisticamente su quelle orme.

Lei ha in cantiere molti spettacoli dal vivo «MADDADDAM», «Dante Project» e una nuova incursione nel mondo dell’opera con «Oedipus Rex / From Antigone».

Sì, è vero. MADDADDAM è una produzione tra il Royal Ballet il National Ballet of Canada. Parte da una trilogia di libri di Margaret Atwood che parla di una pandemia, è un racconto preveggente! Una visione distopica del futuro. Il debutto è saltato, causa Covid, prima di riprendere MADDADDAM devo concludere il Dante Project con il Royal Ballet. Il primo atto di 50 minuti dedicato all’Inferno è andato in scena a Los Angeles nel 2019, ora stavamo preparando il secondo, ma siamo bloccati, chiusi in casa. Stiamo vivendo così il nostro Purgatorio, alla fine della pandemia arriveremo al nostro Paradiso! Oedipus Rex / From Antigone è una produzione con la Dutch National Opera e il Dutch National Ballet, il debutto è in programma ad Amsterdam per marzo 2021. Con Oedipus Rex torno a Stravinskij, dopo AfteRite, creato con l’ABT a New York. From Antigone è un lavoro commissionato al giovane compositore Sammy Moussa. L’allestimento è stato disegnato in linea con le restrizioni della pandemia. L’Orchestra è in scena, in alto, il Coro in una sorta di Covid secure box. È un’incredibile storia da dirigere, Il libretto di Oedipus Rex fu scritto da Cocteau, un lavoro alla Beckett, nel quale i personaggi principali hanno movimenti minimi, la danza mi serve per «fisicalizzare» il canto dei coristi. From Antigone sarà invece un pezzo di pura danza, con il coro off stage. Partiamo dal solo canto, per aprirci all’unione in scena tra canto e danza e per concludere con un’esplosione di danza pura. È un nuovo esperimento con l’opera. Chissà se il pubblico potrà venire a vederci…

Già, i teatri sono di nuovo chiusi, cosa pensa a riguardo?

La situazione è difficile, tutti noi amiamo l’esperienza collettiva di condividere uno spazio guardando uno spettacolo. All’interno dei teatri le norme sono rigorosissime, ma la gente ora è spaventata, i governi non permettono di andare a teatro anche in condizioni di sicurezza, finanziariamente è un disastro. Eppure il pubblico dei teatri è responsabile, non è il pubblico delle feste e dei pub. Al Royal Ballet facciamo continui tamponi, c’è un controllo massimo. Il nostro lavoro è convincere i politici che le collettività non sono tutte uguali.

Il digitale può aiutarci?

La relazione tra il corpo reale e la realtà virtuale è eccitante. E con le nuove tecnologie si possono inventare molte cose. Mi piace l’idea di una danza che puoi gustare tra una portata e l’altra di un pranzo cambiando la posizione del tuo sguardo sullo schermo o ripensare come, attraverso gli esperimenti che abbiamo fatto con Google Arts, l’Intelligenza Artificiale generi danze mai fatte prima. Con la realtà virtuale ci sono così tante applicazioni da sperimentare, bisogna solo essere coraggiosi. Un argomento su cui instaurerò collaborazioni anche in Biennale.