Il rap in Italia spesso viene additato come poco educativo, medium di messaggi pericolosi, quasi fosse compito della musica «educare». A sfatare questo assurdo paradigma è nato un progetto il cui obiettivo è quello di avvicinare i giovani delle periferie al rap, non solo come fruitori ma attivamente, confrontandosi con le strofe del rap, un modo per stimolare il linguaggio e la crescita. Il progetto Inside The Beat, Outside The Box è ideato dall’associazione 232 Aps di Milano, a sostenerlo oltre al Comune tanti artisti come Ghali, Massimo Pericolo, Ernia, Nerone, Lazza, Grido. Il crowdfunding (la piattaforma è produzionidalbasso) sta andando bene, al rapper Jack The Smoker della Machete, uno dei più attivi nel progetto, abbiamo chiesto se c’è ancora diffidenza verso il rap e come questo possa spronare i ragazzi: «La diffidenza nasce dall’idea stereotipata del rap come esaltazione del materialismo fine a se stesso, una componente dell’estetica del rapper. Ciò che spesso non traspare è il rap come strumento di autorealizzazione e riscatto, personale e sociale. Scrivere una strofa che racconta il tuo vissuto può tirarti fuori qualcosa di inascoltato o comunque considerato poco importante. Nei laboratori di rap si mettono al centro il proprio vissuto e le emozioni, le si espongono al mondo rendendole importanti, invece di tenerle dentro e covare la rabbia di chi non è ascoltato».

IL RAP È TRASVERSALE, sta nelle periferie come nei centri metropolitani o nelle province. Certe volte però sembra che il rapper della periferia sia più “autentico”: «Tendenzialmente il rap era il racconto di chi viveva le esperienze di strada in senso ampio, dalle periferie emarginate alle panchine dei parchetti, di chi viveva distante dal benessere. Adesso questo aspetto è meno vincolante perché il rap ha esteso il suo racconto a tutte le fasce sociali, la società globalizzata propone una narrativa meno identitaria. Il rap si può considerare il nuovo pop perché è anche un business, pertanto il mito della fama calza a pennello con il ruolo del rapper. Il mito della periferia si sposava forse di più con il rapper anni novanta».

LUDOVICA PIRILLO e Fabrizio Bruno, presidente e vice dell’Associazione 232 Aps parlano della difficoltà nelle periferie di accedere a contesti aggregativi ed educativi, aggravatasi con la pandemia: «I servizi sul territorio sono sempre più vittime di tagli, il welfare accusa le poche risorse investite ed è qui che nasce il progetto. L’equipe di lavoro è composta da educatrici ed educatori professionali, la loro esperienza non si sviluppa solo a partire dalla relazione con ragazze e ragazzi ma abbraccia uno sguardo di insieme per decifrare i cambiamenti sociali ed educativi nei contesti di periferia». L’associazione si è fatta le ossa negli istituti penali per minori dove ha potuto sperimentare l’influenza positiva del rap: «Il rap ruota attorno alla parola, fondamentale nella relazione educativa. Il racconto delle proprie riflessioni si lega a esperienze vissute in prima persona, le quali permettono di ricollocare sia sul piano temporale che su quello consequenziale, le vicende che ci hanno portato ad essere ciò che siamo. Il rap funge da cavallo di troia per dare accesso al mondo interiore, rendendo accettabile quanto viene rielaborato sia per l’ascoltatore che per il cantante. Una frase che torna spesso nei nostri laboratori è “io queste cose non le ho mai dette a nessuno”; l’arte ci permette di alleviare la tensione che blocca le emozioni e i pensieri».
È previsto un evento finale nel quartiere milanese di Gratosoglio ma prima bisognerà individuare i soggetti più indicati all’offerta. Il linguaggio è azione: «Uno sguardo pedagogico ed educativo accompagna i laboratori. L’obiettivo è garantire la possibilità di scrivere, esprimersi e sognare, Inside the beat vuole essere un progetto pilota, una sfida che ha bisogno dell’aiuto di tutte e tutti».