«Probabilmente io non avrò mai la delega ai migranti». Il «disagio» di Giusi Nicolini «nel far parte del Pd» è sintetizzato in questa «battuta» proferita a Palermo, durante un dibattito su «Accoglienza e cittadinanza: i diritti non hanno confini», alla festa «Effepiù 2017, il lavoro in piazza» organizzata dalla Funzione pubblica della Cgil. Interloquendo con il sottosegretario agli Esteri Vincenzo Amendola davanti a centinaia di persone in piazza Verdi sotto il teatro Massimo l’ex sindaca di Lampedusa non ha nascosto il caso: nominata nella (seconda) segreteria Renzi dopo la vittoria nelle primarie il 30 maggio scorso, Giusi Nicolini è ancora senza delega. Tre mesi e mezzo sono passati senza avere un ruolo definito, un incarico, un compito. A differenza della stragrande maggioranza degli altri componenti – 13 di cui 6 donne e 7 uomini – lei che è stata sicuramente il nome ad effetto, il più conosciuto tirato fuori dal cilindro del nuovo (vecchio) leader Pd. Ma che il Pd non la ami particolarmente sembra confermato dal fatto che sul sito del partito la sua biografia sia lasciata in bianco mentre il rampante responsabile all’organizzazione Andrea Rossi ha ben 15 righe di incarichi.
Portata come ospite d’onore alla cena che Obama fece alla Casa Bianca il 17 ottobre 2016 durante la visita di Stato di Renzi come «simbolo dell’eccellenza italiana», Giusi ha deciso di «far parte della squadra» già prima della sconfitta nella corsa per la rielezione a sindaco. Una scelta che con il passare dei mesi è sempre più sofferta. L’estate dell’«aiutiamoli a casa loro», del piano Minniti, del calo degli sbarchi con i soldi che finanziano le milizie libiche per tenere i migranti nei «lager» non ha certo aiutato. E porta a meditare sul futuro.
E allora la parola «disagio» è la più proferita, un concetto ribadito più volte in una decina di minuti di intervento, molto applaudito dal pubblico di Palermo. «Questo è il momento del disagio, siamo entrati nella civiltà del disagio. Mi sono sentita molto male per l’azione di criminalizzazione verso le associazioni umanitarie che nel Mediterraneo avevano un ruolo di supplenza dopo il fallimento delle operazioni europee». E ancora: «Mi aspetto dal Pd che cambi completamente la politica di cooperazione invece di decidere prima di fermare gli sbarchi e poi di capire cosa accade nei campi libici». Ma è a proposito della risibile proposta del ministro Minniti alle Ong italiane di «adottare una Ong libica» che arriva la stilettata più forte alla politica del governo e del suo partito: «Da un lato abbiamo voluto cacciare le Ong dal Mediterraneo perché erano l’unica frontiera di umanità e indipendenza e dall’altro si individuano le Ong come coloro che devono garantire i diritti umani in un paese (la Libia, ndr) che non ha sottoscritto la convenzione di Ginevra».
Ecco, parole degne di una persona che ha ricevuto il Premio Houphouet-Boigny per la ricerca della pace dall’Unesco. Parole però un po’ troppo a sinistra per diventare responsabile Immigrazione di un partito come il Pd di Renzi. E di Minniti.