Il miracolo di compattare per un pomeriggio tutte le anime del Pd lo fa Rocco Casalino, che non è solo l’ex portavoce di Giuseppe Conte ma un dirigente di prima grandezza del Movimento 5 Stelle, responsabile per anni della comunicazione. Nell’ormai quotidiana intervista, stavolta a Oggi è un altro giorno, su Raiuno, non si tiene: «Nel Pd ci sono persone straordinarie come Nicola Zingaretti e Dario Franceschini ma ci sono anche cancri che vanno estirpati». Elegante e delicato.

La levata di scudi del Pd è troppo corale per dar conto di tutte le proteste e delle svariate reazioni furibonde. Conviene registrare chi manca all’appello e il silenzio di Nicola Zingaretti è rumoroso. Del resto, dopo aver confessato di vergognarsi del suo stesso partito non gli è facile smentire il ruvido pentastellato nella sostanza. Il capo dei senatori Andrea Marcucci chiede se l’ex portavoce prestato alla letteratura parli per se stesso, per i 5S o per Conte.

La curiosità resta inesaudita: dal Movimento non arrivano prese di distanza di sorta. A correggere, ma solo per modo di dire, ci pensa lo spin doctor in persona, scusandosi per il linguaggio troppo forbito e chiarendo che lui voleva solo alludere ad «alcune persone che lavorano per distruggere ciò che tutti gli altri costruiscono con fatica e sacrificio e per una mera lotta di potere minano il concetto più nobile di fare politica». Cancro no ma un morbo mortale sì.

In sé potrebbe essere solo un banalissimo incidente di percorso dovuto all’intemperanza del comunicatore pentastellato, come la battutaccia di Beppe Grillo sulla sua candidatura a segretario del partito in balia delle onde era frutto del gusto per il paradosso del comico e garante assoluto del Movimento. A rendere meno effimero il problema c’è il fatto che proprio il rapporto con i 5 Stelle è all’origine del terremoto che squassa il Pd ma c’è anche il sospetto che le esagerazioni nascondano, se non proprio un progetto, una suggestione e una tentazione reali presenti nel Movimento. Ma soprattutto c’è il rischio, puntualmente registrato dai sondaggi, che l’Opa di Beppe Grillo e Giuseppe Conte sul partito già di Nicola Zingaretti sia nell’ordine delle cose, anche al di là delle intenzioni dei presunti scalatori.

Se il Pd esploderà, poco importa se subito o poco per volta, sarà impossibile, ma anche in caso contrario sarà difficile, reggere il confronto con un Movimento 5 Stelle che è, sì, a sua volta imploso ma può in compenso contare sulla bandiera Conte, troppo esaltata dallo stesso Pd per essere oggi derubricata a vessillo di partito. La coalizione di centrosinistra, qualunque sia il ruolo formale dell’ex premier, sarà sempre «la coalizione di Conte» e questo, in termini di voti, avrà il suo peso. Una coalizione chiusa al centro, oltretutto, non andrebbe oltre quel 30-35% che costituisce il recinto fisiologico della sinistra in Italia da sempre.

Il Pd rischia insomma di ritrovarsi sconfitto nelle urne dalla destra e costretto nel ruolo di socio di minoranza nella coalizione. Sarebbe una parte scomoda per chiunque ma infinitamente più pesante per un partito che da decenni rintraccia la propria identità solo nella presenza nelle amministrazioni locali e al governo nazionale.
Uscire dal labirinto in cui l’intera coalizione nel complesso e tutti i suoi componenti singolarmente si sono cacciati non è affatto facile. Per provarci ci vorrebbe un nuovo leader dei 5 Stelle deciso a fare la sua parte, ma al momento non s’è visto niente, e ci vorrebbe un segretario del Partito democratico tanto autorevole da domare le spinte centrifughe da un lato e da bloccare subito l’invadenza dei pentastellati dall’altro. Qualche nome in grado di farlo nella nomenklatura del Nazareno c’è. Ma mica tanti.