Sono passati 48 anni dal primo sciopero delle donne islandesi che il 24 ottobre del 1975 bloccò l’isola per «dimostrare il lavoro indispensabile delle donne per l’economia e la società islandese» e per «protestare per la discrepanza salariale e le pratiche di lavoro sleali». Oggi le donne e le persone non binarie dell’isola dei ghiacci incroceranno nuovamente le braccia «per dimostrare l’importanza del loro contributo alla società» come si legge nell’appello della rete riunita per il kvennafrì (giornata delle donne) alla quale hanno aderito 35 sigle tra sindacati, reti femministe e associazioni Lgbtq+.

Lo slogan dello sciopero è «Questa la chiamate uguaglianza?» dove il punto di domanda è un atto di rivendicazione affinché, come si legge nell’appello, «la violenza di genere venga eliminata e il contributo delle donne e delle persone non binarie sia riconosciuto e premiato».

Il kvennafrì era stato organizzato nel 1985, 2005, 2010, 2016 e 2018 ma, negli ultimi anni, con una caratteristica per lo più simbolica, quando le donne lasciavano il posto di lavoro in orari progressivi: 14.20, 14.30, 14.40 a segnalare il gap retributivo che avevano ancora rispetto agli uomini.

Questa volta lo sciopero è per l’intera giornata esattamente come avvenne nel 1975. Le organizzazioni promotrici hanno preparato l’evento con un lavoro capillare che ha coinvolto anche le tante migranti che vivono nell’isola (il 22% della forza lavoro femminile). L’appello e il sito sono infatti in 4 lingue: oltre l’islandese e l’inglese è anche consultabile in polacco e rumeno, le comunità più numerose impiegate soprattutto nel lavoro di cura della persona e nel turismo.

I sindacati hanno fatto appello alle società private e pubbliche per chiedere un gesto di solidarietà concreta non decurtando il salario alle scioperanti e ricevendo moltissime risposte positive sia da enti pubblici (comuni, società e ministeri) che da aziende private.

Nel 1975 la mobilitazione coinvolse il 90% delle donne lavoratrici d’Islanda portando in piazza nella capitale Reykjavík oltre 25 mila donne, su una popolazione complessiva di 220 mila persone. L’anno dopo l’ Alþingi (il parlamento islandese) votò una legge per la parità salariale tra uomini e donne. L’Islanda figura tra i paesi al mondo con il minor divario salariale anche se, ad oggi, la differenza di retribuzione è ancora del 21%.

L’isola ha anche votato, nel 1981, la prima presidente della Repubblica donna, la progressista Vigdís Finnbogadóttir, mentre nel 2009, dopo lo scoppio della bolla immobiliare che sconvolse l’economia dell’isola, venne nominata una premier donna, la socialdemocratica Jóhanna Sigurðardóttir, prima presidente del consiglio al mondo dichiaratamente lesbica. Anche oggi l’Islanda è guidata da una donna, l’ecoprogressista Katrín Jakobsdóttir, che nel dichiarare la sua adesione allo sciopero, ha invitato tutte le ministre del suo governo a fare altrettanto. Jakobsdóttir ha però precisato che, per una «premier non ci sono giorni di vacanza, né a Natale né nel giorno delle donne».

L’appello prevede che «lo sciopero includa anche il lavoro in casa; non assumerci il lavoro non retribuito che dovremmo assumerci, come la cura dei bambini e i lavori domestici». «Ci aspettiamo che mariti, padri, fratelli e zii si assumano le responsabilità legate alla famiglia e alla casa per esempio: preparare la colazione e il pranzo al sacco, ricordare i compleanni dei parenti, comprare un regalo per la suocera, fissare un appuntamento dal dentista per tuo figlio, ecc.».

Secondo il presidente di Ki (il sindacato degli insegnanti) Magnús Þór Jónsson, che ha aderito con la sua organizzazione alla mobilitazione di oggi, la «giornata di lotta del 24 ottobre non è un vero e proprio sciopero, ma un atto di disobbedienza civile» ed invita gli uomini a lavorare il doppio oggi e a farsi carico della cura della famiglia. A Reykjavík è prevista alle 14 la manifestazione più significativa che partirà dal centro della capitale ma si prevedono mobilitazioni