Alla Fondation Pierre Bergé-Yves Saint Laurent a Parigi chiude domani una delle mostre di moda più visitate degli ultimi anni, La Collection du Scandale che espone la collezione haute couture di Yves Saint Laurent del 1971. Lo scandalo a cui si riferisce il titolo nasce il 29 gennaio del 1971 quando Saint Laurent presenta una collezione che i giornalisti di moda giudicano ispirata agli anni dell’occupazione nazista della Francia. I giornali lo attaccarono con titoli e articoli che oggi sarebbero impossibili. L’International Herald Tribune titola: «Saint-Laurent: Truly Hideous» (veramente orribile) e scrive che la sfilata è «un suicidio»; Le Monde: «Il couturier ha perso ogni senso della misura e del buon gusto»; The Guardian:«La sua collezione è un tour de force del cattivo gusto»; Le Figaro titola: «Una triste occupazione» e scrive: «Non è possibile, è una gag!».

 

 

 

Saint Laurent aveva capito che la moda intrappolata nella noia borghese e conservatrice non aveva nessun futuro. Il sistema, infatti, procedeva con rituali che, nati dopo la guerra, mostravano un’arretratezza culturale rispetto ai tempi, nonostante ci fosse stato il Sessantotto. A lui, che già nel 1966 aveva dichiarato «sarebbe molto triste se la haute couture servisse solo per vestire le donne ricche», la sua clientela gli appariva prigioniera di una formalità piccolo borghese che non gli piaceva e la stampa gli sembrava più preoccupata a descrivere le lunghezze degli orli che il cambiamento della società che la sua moda stava raccontando.

 

 

«Non mi sarei mai aspettato che in un ambiente così aperto a tutto ci fosse una mentalità così chiusa e, soprattutto, una tendenza così conservatrice», riflette più tardi Saint Laurent. Quello che aveva dato più fastidio, infatti, non erano le spalle alte e squadrate, i turbanti e le scarpe con la zeppa che ricordavano gli anni della guerra, ma che la sua haute couture riflettesse un movimento che proveniva dalla strada. Infatti, a folgorare il couturier mentre preparava la collezione è stata una giovane Paloma Picasso che, come tante allora, comprava gli abiti al mercatino delle pulci. Quella collezione che accostava haute couture e movimentismo giovanile, che ha prodotto abiti diventati poi dei classici, come il cappotto con le bocche di paillettes ricamate (copiatissime e rifatte lo scorso anno da Hedi Slimane, attuale direttore creativo del marchio), ha cambiato la moda. Saint Laurent non era attratto dal rétro ma da una moda che tornasse sulle strade, senza infossarsi nei salotti.

 

 

Oggi la situazione appare molto simile a quella del 1971, ma non ci sono collection du scandal: mancano i createur visionari e perfino le spinte della strada. Però, approfittando del vento greco che scombussola molte certezze, qualche designer coraggioso potrebbe seguire il consiglio che Diana Vreeland diede allora alle sue lettrici di Vogue per placarne l’ira: «Queste collezioni che appaiono scioccanti ci indicano il cambiamento del vento della moda. Andiamo, allora, nel senso del vento… E guardiamole con un occhio meteorologico». Semplicemente preveggente.

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