Ha dovuto scrivere una lettera di spiegazioni. Una decisione spontanea, assicurano dal ministero della giustizia, che tutta via Marta Cartabia ha certamente apprezzato. È lei che vuole Carlo Renoldi alla guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, un magistrato con una lunga esperienza nell’esecuzione penale, che però prima ancora che il Csm ne decida la collocazione fuori ruolo (accadrà la prossima settimana) è finito sotto l’attacco di ha voluto presentarlo come troppo morbido con i detenuti e persino con i mafiosi. Questo perché Renoldi ha sostenuto – due anni fa, ricordando Sandro Margara – che anche il carcere duro deve rispettare i dettami della Costituzione: umanità e finalità rieducativa. Del resto lo prescrive anche la Corte costituzionale, ma evidentemente questa è una bestemmia per i sostanzialisti di casa nostra. Non solo per il partito di Giorgia Meloni per il quale, come da proposta di legge, se l’ergastolo ostativo non è compatibile con la Costituzione bisogna cambiare la Costituzione. E infatti ritiene Renoldi «non adatto a fare il direttore del Dap ma casomai il garante dei detenuti», massimo insulto trattandosi di una figura che per la destra meglio sarebbe cancellare. Ma non vogliono un garantista al Dap neanche Lega e 5S, del resto insieme al governo ai tempi in cui il ministro Bonafede diffondeva video musicarelli con un detenuto in ceppi all’ufficio matricola. Ma Salvinie Conte sono di nuovo insieme nella maggioranza della ministra Cartabia, così Renoldi ha dovuto scrivere la sua lettera.

 

Il magistrato – che nel 2020 aveva criticato «l’antimafia militante arroccata nel culto dei martiri, che certamente è giusto celebrare, ma che vengono ricordati» solo ricorrendo alla «esemplarità della risposta repressiva» dimenticando «che la prima vera azione di contrasto nei confronti delle mafie, cioè l’affermazione della legalità, non può essere scissa dal riconoscimento dei diritti» – adesso scrive a Cartabia per dirsi dispiaciuto degli equivoci. «Nessuno può avere intenzione di sottovalutare la gravità del dramma della mafia, costato la vita a tanti colleghi e servitori dello Stato – scrive -, non ho mai messo in dubbio neanche la necessità del 41bis, essenziale per recidere i legami tra il detenuto e il contesto delinquenziale di appartenenza. Come emerge da sentenze a cui ho contribuito in Cassazione, in cui si sottolinea la necessità che le misure restrittive siano specificamente finalizzate a tale esigenza».
Non rinuncia dunque Renoldi a ricordare che le misure afflittive devono essere coerenti e conseguenti allo scopo, così come rivendica la necessità di «interrogarci» su quale sia la «strada per tenere insieme uno strumento oggi ancora indispensabile, come l’ergastolo, e i principi dell’umanizzazione della pena e del trattamento rieducativo».

Renoldi è stato per dieci anni giudice di sorveglianza a Cagliari. Da sei anni è alla prima sezione penale della Cassazione. Ha lavorato nell’ufficio legislativo del ministero della giustizia contribuendo a scrivere il decreto del 2013 con il quale l’Italia ha risposto alla condanna della Cedu per il sovraffollamento carcerario (sentenza Torregiani). Da giudice ha sollevato due questioni di costituzionalità sulle norme penitenziarie che sono state accolte dalla Corte. Nel 2013 ha fatto parte della commissione Giostra per la riforma dell’ordinamento penitenziario. Per Lega e 5 Stelle il suo profilo non carcerocentrico non è adeguato, lo hanno ripetuto in diverse dichiarazioni. Senza repliche, ieri, da Pd e Leu. Il passaggio della nomina in Consiglio dei ministri dovrebbe essere solo formale, si tratta di una scelta fiduciaria della ministra. Così come dovrebbe esserlo – prima – il via libera del Csm. Al Consiglio non spettano valutazioni di merito, ma si aspettano gli interventi di Ardita e Di Matteo.