L’interregno, dalle elezioni di novembre all’insediamento del nuovo presidente il 20 gennaio, da sempre è destinato a essere il capitolo più imprevedibile e infiammatorio. La menzogna «militarizzata» da Trump per attivare la base ha prodotto la dissonanza cognitiva di cui molti avevano già avvertito e portato il paese all’inevitabile, annunciatissimo epilogo della parabola trumpista.

Trump è tutto fuori che clandestino nella sua rappresentazione politica che si nutre di disquisizioni, farneticanti comizi, proclami in maiuscolo su twitter (almeno fino al blocco imposto ai suoi account social). C’era ben poco di misterioso sul programma dell’insurrezione dell’epifania. Rimane invece un mistero fitto attorno al ruolo delle forze dell’ordine.
Nello svolgimento della sua narrazione populista, aveva da tempo convocato a raccolta il suo popolo. Da settimane, i social complottisti brulicavano di annunci e proclami. Le talk radio di destra hanno prodotto un brusio ininterrotto di dichiarazioni di intento per «stop the steal», impedire il furto immaginario delle elezioni. La convocazione nazionale a Washington delle milizie è stata una assordante chiamata alle armi per una settimana di passione.

Come si spiega quindi la clamorosa insufficienza delle misure si sicurezza che ha spalancato le porte del campidoglio alla folla inferocita? L’insurrezione è precipitata rapidamente proprio con il comizio in cui Trump ha indicato a più riprese il campidoglio esortando la folla a marciare su quel palazzo e «riprendersi il paese». E la folla non ha trovato resistenza nel raggiungere quello che dovrebbe essere uno degli edifici più fortificati della nazione. Perché?

La Capitol Police, col compito specifico di proteggere il Parlamento, dispone di duemila agenti con un bilancio annuale di $460 milioni. Dopo l’11 settembre altre centinaia di milioni di dollari sono state spese in ulteriori misure di sicurezza comprese barriere anti veicolo e una rete di sotterranei. Eppure, a contrastare l’avanzata dei facinorosi si è visto un esiguo manipolo di poliziotti impreparati, senza l’ombra di rinforzi.

Questo nel centro del potere di un paese con una polizia dalle consuetudini notoriamente militariste e brutali e nella spianata attigua a Lafayette Square dove, appena sei mesi fa, dimostrazioni pacifiche di Black Lives Matter sono state violentemente represse da un vero proprio esercito di forze dell’ordine chiamate da circoscrizioni vicine, dipartimenti federali, forze speciali e guardia nazionale.
Allora, agenti armati di fucili avevano disperso una folla pacifica, elargito manganellate e gas urticanti a tutti per aprire un varco e permettere a Trump di farsi ritrarre dai fotografi con in mano una bibbia. La differenza abissale fra questi due momenti cristallizza il suprematismo istituzionalizzato dal trumpismo. Difficile fugare i sospetti di una connivenza, almeno su qualche livello.

Una settimana prima, i servizi segreti avevano annunciato la prossima sostituzione degli agenti della scorta presidenziale in previsione dell’arrivo di Biden, dato che molti agenti della scorta attuale sarebbero stati «troppo fedeli a Trump». Non aveva tranquillizzato – e anzi suscitato semmai ulteriori domande – la lettera firmata da dieci ex ministri della difesa: avvertivano che «era giunta l’ora di accettare i risultati delle elezioni». Perché questi ministri, con buona conoscenza degli ambienti della difesa, hanno sentito il bisogno di stilare l’appello? Cosa sapevano d’umore che serpeggiava in ambienti militari?

Sin dai giorni della prima campagna elettorale, Trump si è premurato di giurare fedeltà e amore alle forze dell’ordine, costellando il suo percorso con selfie con agenti e foto di gruppo con poliziotti di ogni città che ha visitato. Ogni suo discorso ha contenuto l’elogio delle forze dell’ordine. Agenti sono puntualmente invitati d’onore ai suoi discorsi, specialmente quelli della Border patrol, impegnati nella campagna di interdizione e pulizia etnica sul confine, elevati a pretoriani personali del presidente e impiegati contro Blm e «contro Antifa» nei sanguinosi scontri di Portland.

Tutti gli esperti concordano nel definire gli eventi un catastrofico e inspiegabile fallimento di ordine pubblico. Per sperare di uscire dalla grave crisi costituzionale e di coscienza del paese, occorreranno risposte alle interrogazioni annunciate da diversi parlamentari costretti a rifugiarsi disordinatamente sotto i banchi, davanti alle orde inferocite lanciate da Trump.