Anche senza Marino il Gay Pride 2013 della Capitale è stato un successo e una festa che ha contagiato e coinvolto tutto la città per l’intero pomeriggio di ieri. Pace fatta dopo le aspre polemiche degli scorsi giorni. «Il sindaco ha inviato un messaggio che abbiamo molto gradito – dice al manifesto il portavoce del Pride Andrea Maccarone – anche se la sua presenza sarebbe stato un gesto istituzionale obbligato. Siamo sicuri che nei prossimi mesi riusciremo a lavorare assieme alla giunta comunale per i diritti Lgbtqi: il primo obiettivo deve essere il registro delle coppie di fatto e le unioni civili, poi bisogna studiare un piano contro l’intolleranza e l’omofobia, si cui troppo spesso si parla quando diventa argomento di cronaca». Sulla stessa linea la neoconsigliera di Sel Imma Battaglia, storica attivista omosessuale: «Prima di tutto bisogna fare il registro delle unioni civili, come ha fatto Pisapia a Milano».
Nel suo video messaggio dalla vacanza in montagna con la famiglia Ignazio Marino ha fatto i suoi auguri alla piazza romana e ha ribadito che «i diritti delle persone sono qualcosa che non può esser negoziato. Non diritti speciali per qualcuno ma gli stessi diritti per tutti, assolutamente per tutti. Su questo c’è il mio impegno da oggi anche come sindaco». In piazza molti esponenti del centrosinistra romano, molti dei quali probabili assessori della futura giunta: Silvio Di Francia e Enzo Foschi per il Pd, Gianluca Peciola di Sel e Luigi Nieri, anche lui di Sel, che ha rappresentato ufficialmente Roma Capitale all’evento. «La polemica ce la possiamo lasciare alle spalle – spiega Nieri mentre si mette in posa con le “famiglie arcobaleno” – lo dimostra il fatto che oggi siamo qua in tanti a rappresentare l’impegno della futuro governo di Roma sui temi posti dalla comunità omosessuale».
In prima fila anche Sergio Lo Giudice, storico esponente dell’Arcigay, ora in Senato tra i banchi del Pd: «Mmartedì prossimo si inizierà a discutere una proposta presentata da me e altri dieci senatori sul matrimonio anche per le coppie dello stesso sesso. Dobbiamo puntare subito a un provvedimento come quello francese del governo Hollande, senza mediazioni alla tedesca dove è stato istituito un altro istituto giuridico. L’uguaglianza o è piena o non è». Peccato però che il Pd punti a un provvedimento simile a quello approvato in Germania.
Sfidando il caldo torrido che ha investito la Capitale nel primo vero week end d’estate, in migliaia hanno attraversato Roma per chiedere diritti e la fine della discriminazione, con allegria e ironia. Ad aprire la manifestazione un bus a due piani con lo slogan “Roma Città Aperta”, poi il camion del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, e via via carri sempre più rumorosi e colorati: corpi in mostra e in movimento a rivendicare l’orgoglio della propria sessualità, della differenza che dovrebbe essere ricchezza e non spauracchio. Una pattuglia di drag queen porta una serie di cartelli “In Brasile mi posso sposare perché qui no?”.
«Il matrimonio non può essere l’unica rivendicazione del movimento Lgbtqi – spiega Alessandro del Queer Lab, una delle più giovani e innovative esperienze che si occupano di tematiche di genere – il problema non è solo l’uguaglianza formale ma cambiare i valori di una società che continua ad essere patriarcale, occuparsi di diritti civili ma anche chiedere politiche di welfare adeguate». Proprio il Queer Lab, con altri collettivi di genere, ha denunciato i provvedimenti del governo su femminicidio e transomofobia: su via Cavour un centinaio di persone si è staccato dal corteo per andare verso il Viminale ma è stato bloccato da un cordone di forze dell’ordine. Nessuna tensione, solo fumogeni colorati e slogan: «Le risposte del governo Letta e della presidente della Camera Boldrini sono caratterizzate solo da un approccio securitario». Gli attivisti hanno poi voluto protestare contro la delega data alla moglie di Alemanno, Isabella Rauti, dal ministro dell’Interno Alfano, in materia di contrasto alla violenza sulle donne. «Vorremmo sapere che competenze ha Rauti, da sempre schierata contro i valori del femminismo e seconda firmataria alla Regione Lazio della Legge Tarzia contro i consultori e la 194».