Distribuito in double bill con un paio di anonimi B-movies americani, The Jade Mask (Phil Rosen, 1945) e Night Key (Lloyd Corrigan, 1937), nella tarda primavera del 1953 esce a Barcellona e Madrid un film tanto folgorante quanto sfortunato. Sui manifesti svetta un titolo enigmatico, degno di un grande melodramma: Vida en sombras. Realizzato fra innumerevoli impedimenti più di cinque anni prima, nell’inverno 1947-1948, si tratta del primo e unico esperimento professionale firmato da Llorenç Llobet-Gràcia (1911-1976), un brillante cineamatore di Sabadell con un passato da critico e gestore di cineclub. Una travagliata vicenda produttiva, fatta di imprevisti e complicazioni d’indole burocratica, condanna da subito Vida en sombras al più feroce dei calvari: disertato dal pubblico, è smontato in una manciata di giorni e per almeno vent’anni nessuno ne sentirà parlare. Lo stesso Llobet-Gràcia, scottato dall’esperienza (alla quale si somma un terribile dramma privato: la morte del primogenito), decide di abbandonare in via definitiva la militanza cineamatoriale. Il progetto di un secondo lungometraggio professionale, El refugio, sarà analogamente sacrificato sull’altare degli eventi.

REALTÀ, FINZIONE

La Filmoteca de Catalunya, in collaborazione con Intermedio, pubblica ora un cofanetto Dvd che, oltre a Vida en sombras (di cui viene ricostruita la versione primigenia, non passata al vaglio della Junta de Clasificación e più lunga di sette minuti), riporta alla luce ventidue corti amateur dello stesso autore, girati fra il 1928 e il 1954 in 9,5mm e 16mm. Corti che se da una parte sposano il più classico spirito documentaristico e fissano su pellicola alcuni momenti chiave del periodo che precede lo scoppio della guerra civile (l’Esposizione Universale del 1929, la proclamazione della Seconda Repubblica, i cortei funebri di Francesc Macià – primo presidente della Generalitat de Catalunya – e del compositore Amadeu Vives), dall’altra incentivano senza riserve il gusto eccentrico per la narrazione, l’irriverenza di uno sguardo squilibrante, il denudamento del tratto autoriale. Llobet-Gràcia ne era pienamente consapevole: l’analisi della «realtà» non può in nessun modo aggirare il confronto diretto con lo statuto della «finzione». Le risorse del reale, al cinema, si palesano nel distanziamento, nell’autocoscienza dell’artificio, nei processi di decostruzione che svelano la sostanza (le contraddizioni, anche) del linguaggio. La «realtà», l’unica «realtà» rappresentabile, abita nella fitta rete di interazioni che innerva la struttura stessa del film. La dicotomia Lumière/Méliès, in altri termini, è il frutto corrotto di un malinteso epistemologico.

FINZIONE, REALTÀ

Vida en sombras è una sorta di zibaldone per immagini in cui convergono spigliatezza narrativa e acume saggistico, storia collettiva e autobiografia, luoghi fisici e spazi psichici. Un esperimento coraggioso, in anticipo sui tempi, che sembra prefigurare quel modello di «confessione filmata» auspicato da Truffaut nella recensione a Viaggio in Italia di Rossellini (cfr. «Arts», 20 aprile 1955), modello che avrebbe dovuto liberare il cinema dalle morse della «forma romanzesca» e scongiurare il luogo comune di una sceneggiatura chiusa, «ben confezionata», senza possibilità di verifica nel lavoro di regia. Vida en sombras, girato fra novembre 1947 e febbraio 1948, parla agli spettatori del futuro. Non a quelli del dopoguerra, e neppure a quelli degli anni Cinquanta. L’audacia formale che sprigiona giustifica in larga parte le ragioni del suo insuccesso (ma anche gli entusiasmi che ne hanno scandito il tardivo recupero, avvenuto nel momento in cui la rottura di determinati paradigmi ha reso possibile un nuovo pensiero delle immagini in movimento).

Vida en sombras ripercorre il cammino biografico di un cineasta-cinéphile (interpretato dal geniale Fernando Fernán Gómez, appena ventiseienne) la cui storia personale scorre parallela a quella del cinematografo: nasce sotto un tendone da fiera in cui si proiettano i primi esperimenti dei fratelli Lumière, cresce con Charles Chaplin, si innamora con George Cukor, «rinasce» con Alfred Hitchcock. In Vida en sombras, cinema e vita si identificano sino al parossismo: la pelle aderisce alla pellicola, la rigidità della cartapesta cede il passo alla duttilità dell’esperienza. Il cinema inizia ad assimilare il peso della sua storia, a riflettere compiutamente sull’entità dei propri codici di significazione, spianando la strada agli indici della modernità. L’io di Llobet-Gràcia si sovrappone a quello del protagonista, Carlos Durán. Nelle dichiarazioni del secondo trovano coerente espressione i propositi del primo: «Ciò che è nato come semplice curiosità scientifica possiede attualmente un’estetica. […] Come afferma Pudovkin, se il romanziere può determinare i punti fondamentali della sua opera attraverso descrizioni minuziose, e il drammaturgo attraverso i dialoghi, il cineasta deve esprimere le sue idee con mezzi esterni, visuali e plastici. […] Credo che se il regista non è anche autore dell’idea drammatica, la sua condizione è quella di un semplice amministratore».

Llobet-Gràcia, con la mediazione di Carlos Durán, propone una nozione di autore sulla quale i jeunes turcs articoleranno nell’arco del decennio successivo i presupposti della loro rivoluzione. E, giocando d’anticipo sugli enunciati della politique des auteurs, agogna per Hitchcock un ruolo di primo piano nella storia del cinema. Rebecca (Alfred Hitchcock, 1940), infatti, è il deus ex machina che determina la «rinascita» di Carlos dopo la morte della moglie; il film con il quale Llobet-Gràcia stabilisce un dialogo fatto di richiami e corrispondenze, e sulla cui superficie plasma un orizzonte spazio-temporale di secondo grado. Nell’inglobare e manipolare risorse culturali preesistenti, il cineasta catalano elude il moderno e approda, con un balzo di qualche decennio, al postmoderno. Se in Rebecca, tuttavia, il discorso sulla memoria è avvolto da un’aura funerea, dalle tinte necrofile, in Vida en sombras la prospettiva critica sulla sostanza del ricordo subisce un fondamentale ribaltamento. Llobet-Gràcia ricava dal gioco delle opposizioni la soluzione alle angosce che divorano il suo alter ego. L’incontro con Hitchcock salva Carlos dagli abissi della colpa e del rimpianto: un esempio compiuto di narrazione che guarisce, figlia dei migliori classici americani, costruiti secondo il topos della struttura circolare. Un topos che Llobet-Gràcia riformula con spiazzante lucidità, spingendo la rappresentazione ai limiti dell’astrazione: nell’interrogare le regole della circolarità, il cineasta ricostruisce la prima sequenza del film, ambientandola questa volta su un set cinematografico, fra carrelli, proiettori e scenografie di cartapesta. Il set sul quale Carlos finisce col sublimare le proprie inquietudini, facendo dell’esperienza un’opera d’arte (o dell’opera d’arte, una scheggia di esperienza). Il confine fra «realtà» e «finzione» non è mai stato tanto volubile. Più che un film sul cinema, Vida en sombras è un film nel cinema.

INTERVISTA

Esteve Riambau, direttore della Filmoteca de Catalunya

«Una cineteca non deve essere un cimitero», sosteneva Henri Langlois. Detto altrimenti: se conservare è importante, diffondere è fondamentale. A pochi mesi dalla pubblicazione in Dvd della filmografia di Jacinto Esteva, la Filmoteca de Catalunya presenta un cofanetto multilingue con l’opera (quasi) completa di un altro grande outsider: Llorenç Llobet-Gràcia. Incontriamo per l’occasione Esteve Riambau, direttore della Filmoteca.

Quale posto occupa Llobet-Gràcia nella storia del cinema catalano?

Quello di Llobet-Gràcia è un caso decisamente atipico. Se mi avessi posto questa stessa domanda quarant’anni fa, ti avrei chiesto: «Di chi stiamo parlando?». Allora nessuno conosceva Vida en sombras. Oggi si tratta di una figura pienamente integrata nella storia del cinema catalano. Una figura importante, singolarissima. Llobet-Gràcia risponde al profilo del cineasta amateur che fa il grande salto verso il cinema professionale. Sin dai primi anni della dittatura franchista, in alcuni settori del catalanismo si pensava che il «Messia» dovesse arrivare sotto le spoglie di un cineamatore fortemente legato a questa terra e con solide ambizioni nel cinema industriale. Ce ne furono alcuni, molto pochi, e il caso più eclatante è senz’altro quello di Llobet-Gràcia.

Cosa ha rappresentato «Vida en sombras» per Llobet-Gràcia?

Il film rappresentò per Llobet-Gràcia una sconfitta artistica e personale. La Junta de Clasificación arrivò a negargli ogni sovvenzione economica, per questo i produttori commissionarono un nuovo montaggio di Vida en sombras ad Antonio del Amo: per renderlo più appetibile agli occhi dei funzionari, che nella maggior parte dei casi erano uomini mediocri, di dubbia cultura. Durante il processo di realizzazione, inoltre, gli morì un figlio. Il ricordo di questa esperienza lo riportava a un momento oscuro, irrisolto, della sua vita.

In quali termini «Vida en sombras» precorre la modernità cinematografica?

Llobet-Gràcia riflette sul linguaggio cinematografico, sui legami fra cinema e vita, e tutto questo alla fine degli anni Quaranta, quando gli artefici della Nouvelle Vague andavano ancora in giro con i calzoni corti. Un talento, il suo, che precorre i tempi.

Mi colpisce molto l’approccio consapevole e libero di Llobet-Gràcia, rivendicato in un contesto produttivo che di certo non incentivava sguardi obliqui, eccentrici, sulla realtà. L’autoironia porta al distanziamento, all’annichilimento della morte, non solo nei suoi corti amatoriali, ma anche nello stesso «Vida en sombras», in cui il fantasma della morte è sconfessato dalla vocazione riproduttiva del cinema, dalla possibilità che il cinema ha di ri-scrivere il gesto e reiterarne la durata.

Vida en sombras viene generalmente considerato un film autobiografico. Per me è qualcosa di molto più complesso. Carlos Durán, il protagonista, non è tanto un doppio di Llobet-Gràcia, quanto una proiezione di questi fantasmi che sottilmente evocavi. In Vida en sombras, il cinema sancisce il trionfo della vita sulla morte. La riflessione di Llobet-Gràcia non è unicamente cinefila, come lo sarà per i fautori della Nouvelle Vague. A mio parere, va molto oltre.

Llobet-Gràcia eleva Hitchcock a punto di referimento assoluto molto prima delle rivendicazioni dei «jeunes turcs»…

Certamente. Llobet-Gràcia rivendica l’Hitchcock più profondo, quello di Rebecca. In questo film, come farà anche in Vertigo, Hitchcock riflette consapevolmente sui temi di cui abbiamo parlato – la realtà, il cinema, la vita, la morte – conferendo loro una forza emotiva straordinaria.

Il cinema prodotto in Catalogna, parlo di quello promosso all’interno dei circuiti ufficiali, fatica da sempre a imporre un discorso personale. Al contrario, nei circuiti indipendenti e «underground» si sono rivelati talenti di notevole spessore, da Llobet-Gràcia a Pere Portabella, da Joaquín Jordá a Jacinto Esteva, da José María Nunes ad Antoni Padrós, fino a José Luis Guerín, Albert Serra e Lluís Miñarro, solo per fare qualche nome. Sei d’accordo?

Mi trovi pienamente d’accordo. Il cinema catalano avrebbe potuto convertirsi in una potenza industriale durante la prima guerra mondiale, data la neutralità della Spagna e la simultanea crisi delle grandi cinematografie europee, o anche negli anni della Seconda Repubblica: la città di Barcellona, infatti, raggruppava una parte importante dell’industria cinematografica attiva sul territorio spagnolo. L’occasione non si seppe sfruttare a dovere. Inoltre, i grandi cineasti europei in fuga dai regimi totalitari preferirono altri Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti. Il cinema, d’altronde, non fu mai una priorità per l’élite culturale catalana, più prossima ai circoli letterari che non a quelli delle avanguardie figurative. I grandi creatori catalani dei primi decenni del Novecento, noucentistes o modernisti che fossero, non manifestarono un particolare interesse per il cinema. Salvador Dalí avrebbe potuto favorire il consolidamento di una nuova avanguardia cinematografica, ma lasciò la Catalogna per la Francia e gli Stati Uniti. Durante la dittatura franchista, sulla scorta di alcune importanti esperienze pregresse come il manifest groc e il surrealismo, si gettarono le basi per quel cinema «alternativo» che tu menzionavi, i cui strascichi arrivano fino a oggi con Guerín e Serra. Gli artefici della Escuela de Barcelona, l’avanguardia cinematografica degli anni Sessanta, dicevano: «Se Madrid è Hollywood, noi saremo la Scuola di New York».

Progetti per il futuro nell’ambito di restauro e diffusione?

Stiamo lavorando al restauro di due film. Il primo è un lungometraggio marocchino di Mustapha Derkaoui, De quelques événements sans signification, del 1974, che venne proibito nel suo paese d’origine e il cui negativo, per un capriccio del destino, fu sviluppato a Barcellona, in un laboratorio che successivamente fallì. In questo momento il film è di nostra proprietà e ne stiamo ultimando il restauro in vista di una prossima diffusione. L’altro progetto, che richiederà ancora un paio d’anni di lavoro, prevede il recupero di un magnifico film a cartoni animati del 1950, Érase una vez…, diretto dal grande critico d’arte Alexandre Cirici Pellicer. Si tratta di una libera riduzione dal racconto di Cenerentola, ricca di riferimenti alla storia delle arti figurative. Di quest’opera, che ebbe un riconoscimento a Venezia, si conserva solo un 16mm in bianco e nero. Del restauro, il cui principale obiettivo è ripristinare i colori originali, si sta occupando Luciano Berriatúa, responsabile di alcuni importanti lavori per il Friedrich Wilhelm Murnau Stiftung.

COFANETTO LLORENÇ LLOBET-GRÀCIA

La Filmoteca de Catalunya, in collaborazione con Intermedio, pubblica un cofanetto Dvd dedicato all’opera (quasi) completa di Llorenç Llobet-Gràcia. Diversi i contenuti da evidenziare. Innanzitutto, due versioni di Vida en sombras: il montaggio autorizzato dalla Junta de Clasificación, uscito in sala nel 1953, e un montaggio inedito, effettuato nel 2016, che integra quindici tagli operati a suo tempo da Antonio del Amo per conto della produzione Castilla Films. Il negativo originale di Vida en sombras è andato perduto, motivo per cui il restauro digitale è stato realizzato a partire dalle uniche tre copie positive disponibili, tutte in 16mm. Un Dvd è riservato ai ventidue corti sopravvissuti di Llobet-Gràcia, girati fra il 1928 e il 1954. Gli extra comprendono il documentario di Ferran Alberich Bajo el signo de las sombras (1984, prodotto dalla Filmoteca Española), tre interviste a Carlos Serrano de Osma, Delmiro de Caralt e Ángel Zúñiga (registrate nei primi anni Ottanta per il documentario di Alberich e non incluse nel montaggio definitivo), e un video-saggio sulla versione inedita di Vida en sombras. Accompagna i 3 Dvd un libretto multilingue di 75 pagine con testi di Esteve Riambau, Ferran Alberich e Daniel Sánchez Salas. Tutti i contenuti del cofanetto, in commercio a partire da settembre, sono sottotitolati in francese e inglese. Per maggiori informazioni: www.intermedio.net – www.filmoteca.cat