All’Anec Lazio sono tutti molto abbottonati: quante sale riapriranno dal 26 non è ancora chiaro, più facile che ci sia uno slittamento a metà maggio di una buona parte degli esercizi capitolini:«Abbiamo in programma una riunione a breve per capire la situazione», fanno sapere dalla segreteria. Interpellati singolarmente, gli esercenti nutrono parecchi dubbi; la multisala Eden – fra le più frequentate del centro – al momento non riaprirà. Chi invece ha già deciso di ripartire è il Caravaggio, ex sala parrocchiale poi d’essai rilevata da un gruppo di appassionati e cinefili e rinnovata completamente un anno prima dello scoppio della pandemia. «Iniziamo martedì con il cineforum – spiega Gino Zagari, il gestore – del circolo romano, poi nel fine settimana dovremmo ripartire con la programmazione. Anche perché tutto è legato alla disponibilità delle pellicole». Eh sì, perché il problema che la pandemia ha accentuato forse in modo irreversibile è l’uscita in simultanea in sala e sulle piattaforme: «Sappiamo perfettamente che le vecchie finestre non ci saranno più: noi contiamo di arrivare a una finestra di quattro settimane almeno, anche perché obiettivamente più di un mese un film non tiene. Ma questa fase deve portarci a una libertà di accesso al prodotto, di gestori e distributori. Se io distribuisco un film e un esercente lo vuole prendere, se ovviamente non ci sono ostacoli tipo mancati pagamenti, devo consentirglielo. Ricominciare con i vecchi sistemi che alcuni film vanno solo in determinati cinema, porterebbe alla morte di molte sale. Questo è sicuro».

SU UNA COSA tutti gli esercenti concordano: aprire in questa fase e con le limitazioni significa farlo in perdita. Michele Nolli, gestore della multisala Capitol di Bergamo, unico complesso cinematografico rimasto nel centro della città lombarda che solo fino ai primi anni ottanta contava 30 sale, ne è consapevole: «Riapro perché – almeno io personalmente – ho fame di cinema, di tornare a fare il mio lavoro, ma con la consapevolezza che al momento non ci saranno guadagni. Anzi». In più c’è il nodo controverso del nuovo Dpcm che sospenderebbe i ristori alle sale che non vogliono riaprire: «So che è fatta per un incentivo alle riaperture, ma rischiamo forti disuguaglianze e a livello associativo se ne discute. Molte realtà con queste restrizioni proprio non ce la fanno». Minari e Nomadland sono i primi titoli in cartellone.

A BOLOGNA situazione più fluida pur nelle difficoltà di accessi limitati al 50 per cento e spettacoli giornalieri ridotti a tre: «Abbiamo già deciso la riapertura – spiega Andrea Romeo di iWonder – il cinema Jolly il 26 e il pop up Bristol il 29. Fra i titoli su cui puntiamo molto, Collective, il documentario di Alexander Nanau in corsa per l’Oscar. E poi abbiamo Nuevo orden di Michel Franco, il vincitore del Leone d’argento a Venezia». Si riapre con qualche oggettiva titubanza sul come si muoverà il pubblico, ancora stretto nelle morse della pandemia: «Sono ottimista perché credo che le persone che hanno voglia di cinema torneranno. Perché non mancano i film, mancano le esperienze di condivisione che solo la sala può dare».

RIPARTE ANCHE la Cineteca di Bologna: «Abbiamo due sale relativamente piccole – spiega Andrea Ravagnana dell’ufficio stampa – di 140 e 180 posti, con le limitazioni faremo una matineé e due pomeridiane, con i nostri materiali d’archivio ma anche con film che arrivano dagli archivi di tutto il mondo». Si punta su Nomadland e Mank, due film in odore di Oscar. Un segnale positivo per il futuro in un momento di crisi nera: «Riapriremo – forse già a dicembre – l’Arcobaleno, la sala più antica di Bologna chiusa da vent’anni. La stiamo restaurando per riportarla a come era tra il 1915 e il 1920, in stile liberty. Il progetto è curato da Gianfranco Basili, lo scenografo di Moretti, e avrà una capienza di 400 posti con doppio schermo». «Certo – chiosa Ravagnana – noi possiamo permettercelo perché siano pubblici. Ma è giusto che operiamo così».