D’ora in poi via Gluck, a pochi passi dalla stazione centrale di Milano, non sarà unicamente la meta obbligata dei nostalgici celentaniani alla ricerca del civico che ha visto i primi vagiti del Molleggiato. Da un paio di mesi infatti un muro giallo al civico 45 ospita il paesaggio di Tara, il volto di Alain Delon ne Il gattopardo e la galassia di Guerre stellari, murales bellissimi che accompagnano l’ingresso del Museo del Manifesto Cinematografico, neonato spazio espositivo dell’Associazione Atelier Gluck Arte, presieduta da Piero Lessio, che accoglie oltre cinquantamila locandine, fotobuste e soggettoni originali che hanno fatto la Storia del cinema.

L’occasione dorata, mai come in questo caso, per inaugurare il Museo, in occasione del 50° anniversario del kolossal Cleopatra di Joseph L. Mankiewicz, è la mostra-evento, allestita fino al 30 giugno, «Impareggiabile Liz», vero e proprio mausoleo di carta dedicato alla straordinaria carriera di Liz Taylor attraverso le locandine dei suoi film. Si comincia ovviamente con i primi trionfi infantili in film come Torna a casa Lassie e Gran Premio per poi seguire con meticolosa attenzione la crescita della bambina prodigio, dai primi turbamenti in Il padre della sposa, ai coloratissimi affreschi storici di Ivanhoe fino all’esplosione di sensualità nei film di Richard Brooks L’ultima volta che vidi Parigi e La gatta sul tetto che scotta. Parallelamente alla maturazione personale e professionale della Taylor, è possibile osservare anche l’evoluzione, ma per alcuni si tratta di regresso, dell’arte del manifesto cinematografico: le locandine degli anni ’40 stupiscono ancora oggi per grandezza, maestria e precisione grafica mentre, a partire dal decennio successivo, la carta si assottiglia e s’impoverisce sempre più, c’è un piccolo corner proprio a fianco della locandina di Gran Premio dove è possibile toccare con mano la carta, molto spessa, utilizzata in quell’epoca e quella sottile e plastificata di trent’anni dopo.

In pochi metri quadrati si passa al decennio più sperimentale e controverso di Liz, ma anche quello dei due premi Oscar per Venere in visone e Chi ha paura di Virginia Woolf?, e le foto di scena cominciano piano piano a sostituirsi agli elaborati disegni di maestri come il glorioso Silvano «Nano» Campeggi, ritrattista e cartellonista toscano autore di alcune delle più belle locandine di sempre, non a caso denominato «il Michelangelo del manifesto cinematografico», e grande amico della Taylor.
I colori acidi dei film di Joseph Losey, le incursioni zeffirelliane de La bisbetica domata e i Castelli di sabbia di Vincente Minnelli incorniciano idealmente l’angolo speciale dedicato a Cleopatra, con una dozzina di fotobuste, la riproduzione di una delle mirabolanti parrucche che Liz indossava e decine di articoli e copertine di giornali italiani e internazionali che celebravano gli ultimi, e commercialmente tragici, bagliori del crepuscolo kolossal dell’epoca. Gli anni 70, come è noto, saranno più all’insegna della vodka e dei ceffoni con Richard Burton che della celluloide e le rare incursioni sul set sono nel segno della nostalgia, Il giardino della felicità di Cukor, e del caso, il dimenticato gioiello Identikit di Patroni Griffi.

Le locandine si diradano lentamente, l’ultima è I Flinstones del 1994, e lasciano così il posto alle riproduzioni di celebri abiti indossati dalla Taylor e delle sfolgoranti parure di gioielli, compresa la copia perfetta del diamante a 68 carati donatole dall’innamorato Burton. La muta contemplazione di cotanta opulenza è accompagnata dalle voci del vicino proiettore che assembla i trailer più belli della carriera di Liz, in uno spazio proiezioni creato ad hoc che sta ospitando una mini rassegna a ingresso gratuito, i prossimi appuntamenti sono venerdì 21 con Torna a casa Lassie, e il 28 con Venere in visone.
Ultimo appuntamento, prima della chiusura, una cena speciale a tema, con visita guidata alla mostra, il 29 giugno che vedrà una serie di portate ispirate al mito della Taylor, ovviamente la maggior parte delle pietanze prevede una robusta quantità di alcolici fuori e dentro il piatto, e la presenza della sosia «ufficiale» Marina Castelnuovo. Troppo stucco sul barocco? Non c’è da preoccuparsi: poco prima dell’uscita del museo, a fianco della collezione permanente, con locandine mozzafiato tre metri per due di film come Scaramouche, Rocco e i suoi fratelli e La corona di ferro, c’è il Caffè degli Ignoranti, il punto ristoro tappezzato di dischi, fotografie e locandine dell’immancabile Celentano e del suo clan, guarda caso fondato proprio nel 1963, l’anno di Cleopatra.