Chi prevedeva ventimila casi al giorno entro il fine settimana sbagliava di poco. Sono stati infatti 19.143 i nuovi positivi al coronavirus individuati nelle ultime 24 ore. È aumentata la capacità di fare tamponi, con un nuovo record di 182 mila test eseguiti ieri. Ma il virus va ancora più veloce, se risulta positivo un tampone su dieci, il massimo da metà aprile. La Lombardia, con quasi cinquemila nuovi casi e 184 pazienti in terapia intensiva, è la regione con la maggiore circolazione virale. Rispetto a una settimana fa, a livello nazionale i nuovi casi sono aumentati del 91%, i pazienti in terapia intensiva del 64%, e il numero medio di vittime del 96%.

LA BUONA NOTIZIA, se così si può dire, riguarda i decessi che si sono fermati a quota 91, dopo i 136 registrati giovedì. Ma in terapia intensiva ora ci sono 1049 pazienti, 57 più di 24 ore prima. Dieci giorni fa erano circa la metà. Il governo ha fissato a 2300 posti letto in terapia intensiva la soglia per far scattare un lockdown. A questo ritmo, ci si arriverebbe ai primi di novembre. Ma non è escluso che altri provvedimenti vengano assunti prima di allora, con la speranza di guadagnare altro tempo.

È QUANTO CHIEDE la cabina di regia formata da Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute nel report settimanale: «Sono necessarie misure, con precedenza per le aree maggiormente colpite, che favoriscano una drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone e che possano alleggerire la pressione sui servizi sanitari, comprese restrizioni nelle attività non essenziali e restrizioni della mobilità», si legge nel documento pubblicato ieri. Non è una richiesta di lockdown ma ci va vicino: «È fondamentale che la popolazione riduca tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo quando non siano strettamente necessarie e cerchi di rimanere a casa quanto più possibile».

La parola d’ordine è “mitigazione”, perché la fase del “contenimento” dell’epidemia è ormai sorpassata. L’indice di trasmissione Rt è al di sopra di 1 – la soglia che indica una diffusione esponenziale del virus – in tutte le regioni tranne la Basilicata. A livello nazionale Rt vale 1,5 con punte di 2,37 in Val D’Aosta, 1,83 in Piemonte e 1,64 in Lombardia, una situazione definita «complessivamente e diffusamente molto grave» dai tecnici. Deciso il coprifuoco notturno anche in Piemonte.

«AUMENTA GRADUALMENTE il numero di focolai che si rilevano a livello scolastico», spiega Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al Ministero della Salute, ma sono dati di difficile interpretazione. I tecnici segnalano infatti che il sistema di sorveglianza e le strutture sanitarie sono sotto stress. «Il carico di lavoro – scrivono – non è più sostenibile sui servizi sanitari territoriali con evidenza di impossibilità di tracciare in modo completo le catene di trasmissione». E infatti i casi identificati attraverso il contact tracing sono solo il 24% del totale, rispetto al 35% di poche settimane fa. E di 23 mila casi – il 43% del totale – non si è riusciti ad individuare il link epidemiologico. Proprio ora che monitorare il contagio è di vitale importanza, i numeri diventano dunque più incerti. Successe la stessa cosa a marzo in Lombardia, quando i servizi sanitari furono sopraffatti e i numeri ufficiali su contagi e decessi fornirono una pallida sottostima della situazione reale.

Anche gli ospedali faticano a reggere l’urto della nuova ondata. Secondo uno studio dell’Università Cattolica di Roma, i nuovi posti letto di terapia intensiva allestiti per l’emergenza con il decreto “Rilancio” sono già esauriti in sette regioni: Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Abruzzo, Toscana, Lombardia e Calabria. In Campania sono saturi al 92%, in Sardegna all’88%.

In Lombardia verranno gradualmente ridotte le attività di chirurgia ordinaria, cioè gli interventi non urgenti che possono essere rimandati. La riduzione varia a seconda degli ospedali, e mira a ricollocare gli anestesisti nei nuovi reparti di rianimazione in via di allestimento.

La buona notizia però riguarda la letalità apparente del virus, analizzata dallo stesso rapporto dell’ateneo romano. Nel periodo 14-20 ottobre «il rapporto tra pazienti Covid deceduti e totale dei positivi è pari a 0,27%», mentre a marzo era arrivato al 6%.