Leggere il Diario di un socialcomunista siciliano è come fare rafting tra le onde della storia che inizia con l’avvento del fascismo e finisce oggi. Anzi, non finisce perché questo libro-documento-saggio-testimonianza (Editori Riuniti, pp. 496, euro 17) va oltre il presente e indica le strade per un futuro sostenibile per l’umanità. A partire da quella speciale umanità che si trova nella più grande isola del Mediterraneo in cui vive Nicola Cipolla da quasi un secolo. La Sicilia, per l’appunto, come laboratorio politico italiano, ma anche come fucina di progetti e visioni di una rivoluzione possibile. È in Sicilia, infatti, che verrà sperimentato il primo governo del consociativismo (antesignano dei governi delle «larghe intese»), che l’autore denuncia come la deriva del «compromesso storico» proposto da Berlinguer che divenne nei fatti un patto di governo scellerato con la parte peggiore della Dc, prima in Sicilia e poi nel resto del paese. Ed è sempre in Sicilia che nasce Papir, la prima prestigiosa rivista ecologista italiana, diretta allora da Gianni Silvestrini e il Cepes, il centro studi con una chiara visione ambientalista fondato e diretto da Nicola Cipolla. E anche: il grande movimento di lotta ai missili Cruise negli anni ’80, che portò alla raccolta di oltre un milione di firme nella sola Sicilia, ma che si fermò sullo Stretto di Messina, perché l’ala migliorista del Pci, e non solo, bloccò questo grande movimento pacifista e antimperialista.
Lui, Nicola Cipolla, classe 1922, un gigante con la voce da baritono, responsabile della Camera del Lavoro di Palermo, parlamentare nazionale e poi europeo, dirigente di spicco del Pci, meridionalista incarnato nelle grandi lotte dei contadini siciliani dopo il 1943, pacifista e antimperialista, diviene, dagli anni ’80 del secolo scorso uno dei maggiori sostenitori delle lotte ambientaliste, della conversione ecologica per il superamento del capitalismo: «Diceva Marx che esiste un rapporto fra forze produttive che l’uomo riesce a dominare e modo di produzione. Il passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili può portare a modificare il tipo di economia e di società». Ma questo potrà avvenire solo spezzando le reni ai monopoli energetici e dando a tutte le comunità locali l’autonomia energetica, grazie al sole che, scrive Nicola Cipolla, da sol dell’avvenire del sogno socialista, diviene il sole reale che può riconsegnare una democrazia energetica, base indispensabile per la costruzione di una democrazia dal basso.
Tre sono i grandi temi affrontati da questo autore-attore delle lotte sociali, in Sicilia, e di quelle all’interno del Pci. Il primo riguarda l’agricoltura, intesa in senso ampio come terra, acqua, risorse naturali da salvaguardare come bene comune. Fin dalle prime lotte contadine nella Sicilia ancora sotto l’occupazione degli Usa, Cipolla si è battuto come un leone a fianco dei contadini per l’attuazione dei decreti Gullo, per la costruzione delle dighe per l’irrigazione delle aride campagne del trapanese e del palermitano, e poi come europarlamentare per il superamento della Pac (Politica agricola comunitaria) che ha penalizzato i prodotti dell’agricoltura mediterranea. Nel testo, vi sono capitoli che meriterebbero di essere studiati nei corsi di storia del Mezzogiorno o di economia agraria. Il secondo grande tema è l’ambiente a cui l’autore approda senza buttare via il sogno socialista e una critica del capitalismo che lo porterà, quasi ottantenne, a intervenire al movimento No Global di Genova nel 2001. La questione ambientale come una questione di sopravvivenza dell’umanità che necessita di una grande lotta popolare per il superamento di questo modo di produzione. In tale approccio, Nicola Cipolla è stato l’unico grande dirigente del Pci che ha sposato totalmente la causa ecologista.
Il terzo grande tema è quello dell’unità fra le forze della sinistra. Non a caso Nicola si definisce, fin dal titolo, social-comunista, e si è battuto, finché ha avuto un senso, per l’unità tra socialisti e comunisti, segnato dalla grande e positiva esperienza del «Blocco popolare» che si formò nei primi anni della Sicilia postfascista. Anche per questo il compagno Cipolla si oppose strenuamente al «compromesso storico» e alla sua gestione siciliana che significò un’alleanza nei fatti con i settori della Dc legata alla mafia, gestita dall’allora segretario regionale Achille Occhetto, lo stesso che poi si alleò con i miglioristi per lo scioglimento del Pci, dei suoi simboli e dei suoi valori. Compromesso a cui si oppose ad un certo punto anche Pio La Torre, la cui uccisione è stata attribuita alla mafia siciliana, ma che, secondo l’autore, molti fatti ci inducono a credere che la mafia – come nel caso delle stragi di Falcone e Borsellino – sia solo il braccio armato, mentre i mandanti vanno ricercati nella classe politica e nei servizi segreti italiani e statunitensi.
Ma è solo alla fine di questo lungo excursus che si scopre la chiave di lettura di questo testo unico nel suo genere. È, infatti, proprio nell’Epilogo che consiglierei di cominciare a leggere le oltre quattrocento pagine, come si fa con i testi giapponesi o arabi. Si parte con la vittoria al referendum sull’acqua bene comune del 12-13 giugno del 2012, e incontriamo un Nicola Cipolla che, con l’entusiasmo di un bambino, racconta l’attesa dei risultati e una grande festa di piazza dove viene chiamato a intervenire di fronte a una folla al settimo cielo. E lui, in mezzo a migliaia di giovani, ricorda che proprio in quella piazza Politeama il 20 aprile del 1947, si celebrò la vittoria del «Blocco del Popolo» a conclusione del primo ciclo di lotte contro il latifondo e la mafia. Ancora, in quella piazza Politeama, racconta Nicola Cipolla, l’8 luglio del 1960 si radunarono contadini, braccianti e operai per protestare contro il governo Tambroni e il suo braccio siciliano, il governo di Maiorana della Nicchiara, retto da democristiani, monarchici, fascisti e liberali. La lotta per l’acqua bene comune viene così connessa alle battaglie per la terra, le dighe, la democrazia, la sovranità alimentare ed energetica, e raccontata a chi non era ancora nato.
È questa la forza del libro: legare il passato al presente e al futuro, narrare e testimoniare non per nostalgia, ma per trarre linfa vitale dalle pieghe di una storia sociale e politica sconosciuta o dimenticata. È un testo che è un antidoto per tutti quei rottamatori di ieri e di oggi che odiano la storia e pensano che ciò che conta sia solo l’azione (come Mussolini) o la velocità del fare (come Renzi).