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l libro Islam africani (Meltemi, pp. 150, euro 14) dell’antropologo francese Jean-Loup Amselle, sarà al centro della giornata dedicata a Sufi, Africa, Europa (8 dicembre) alla Fiera Più libri più liberi. Le sue analisi osservano la storia di molti paesi dell’Africa sub-sahariana, nonché i processi della loro islamizzazione nei secoli scorsi e il loro riverbero sull’oggi, a seguito della radicalizzazione di alcuni Islam, le cui conseguenze hanno deflagrato al cuore della società occidentale.

Quello di Amselle (il libro raccoglie tre suoi articoli scientifici) non è un testo sulle origini del terrorismo islamico, bensì il susseguirsi di analisi storico-antropologiche volte anche a smascherare le componenti coloniali di alcuni studi d’eccellenza sul tema. In primo luogo, dimostra che l’esigenza di creare un «Islam nero» moderato, che si opporrebbe a quello saudita, deriva da una concezione imperialistica, da interessi politici delle potenze coloniali che, dopo la conquista, si appoggiarono a frange musulmane moderate, per fronteggiare dall’interno i rivoltosi.

Sarebbero proprio gli antropologi francesi e inglesi, come Marcel Griaule e Jack Goody ad aver contribuito alla costruzione del concetto di «Islam nero» più innocuo e ragionevole rispetto alla sua versione araba. Nelle loro indagini, questa differenza sarebbe dettata da una maggiore influenza di uno dei caratteri considerati tipici di quei paesi africani: la stregoneria, il paganesimo. Mitigato da influenze tribali, l’«Islam nero» avrebbe aspetti di innocenza e malleabilità inesistenti nelle sue manifestazioni saudite. Le derive scaramantiche dell’Islam marocchino vengono invece tralasciate, accentuando il carattere animista della sola Africa nera: ennesima prova di un razzismo che non ha confini e attraversa anche studi autorevoli.

Amselle fa scorrere il tempo dalla prospettiva storica al presente, mostrando come l’operazione coloniale, politica e culturale che interessa la pluralità dell’Islam in Africa continui anche oggi.
Una delle idee chiave è che la propaganda in Francia sul sufismo come risposta moderata all’Islam di Boko Haram e al terrorismo di stampo religioso, come lo fu Al Qaeda, derivi da una visione delle confraternite di dervisci che in Africa non ha basi storiche. Ne è una prova la fondazione nel 2015 dell’Istituto Mohammed VI di Rabat, che forma predicatori moderati accentuando un tratto new age del sufismo, mentre tralascia che molti esponenti sufi nella storia dei paesi africani sono stati tutt’altro che capi religiosi tolleranti. Non c’è una semplificazione possibile: il libro di Amselle non genera fraintendimenti.