In Libia il punto di non ritorno è arrivato. Nel caos più completo che regna dopo gli attacchi della Nato del 2011, aggravatosi con il tentato golpe nel 2014 dell’ex agente Cia, Khalifa Haftar, che gode di ampio sostegno internazionale, soprattutto egiziano, una cosa è certa: o c’è un accordo completo sul campo o ritornano le bombe.

Ormai è chiaro che l’emanazione libica dello Stato islamico (Isis), appoggiato da combattenti cirenaici ed ex-gheddafiani, si sta rafforzando. Dopo Sirte e Derna, piombate nel buco nero dell’amministrazione giudiziaria e fiscale dei tagliagole, Isis sta puntando su Tripoli. Ieri i jihadisti sono sembrati essere anche più efficaci delle disordinate incursioni di Haftar degli ultimi mesi, tutte fallimentari.

Gli affiliati di Isis hanno attaccato l’aeroporto di Mitiga a est di Tripoli. In particolare è stata assaltata una prigione, adiacente allo scalo. Sarebbero stati liberati alcuni detenuti, accusati di terrorismo. La prigione è presidiata dalle Forze di deterrenza libica, guidate dal ministero degli Interni di Tripoli. Tre agenti sono stati uccisi, anche alcuni jihadisti sono stati colpiti nell’attacco. Ma gli assalti e le minacce, in queste ore di fibrillazione per il raggiungimento di un possibile accordo tra le due fazioni libiche, non finiscono qui. Giovedì sera, alcuni esponenti del Congresso generale nazionale (Cng) hanno rivelato che un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nel parlamento di Tripoli minacciando alcuni deputati di morte se avessero dato il loro via libera all’intesa di Skhirat in discussione in Marocco.

All’interno della Fratellanza musulmana libica la spaccatura è drammatica tra chi non vuole in alcun modo riconoscere la legittimità di Tobruk, rifiuta di sedere al tavolo negoziale, e chi invece è pronto a firmare l’intesa, a mettere da parte i combattenti più riluttanti vicini alle milizie Scudo di Misurata, per evitare l’auto-distruzione, come è avvenuto per gli islamisti moderati egiziani e siriani. Il deputato di Tripoli Abdel Raouf el-Manaei, che ha boicottato il dialogo, ha paventato anche una terza soluzione chiedendo che, anche se approvato, l’accordo venga sottoposto a un referendum popolare.

A credere che l’intesa sia possibile è ancora il mediatore delle Nazioni unite, Bernardino León. Secondo il diplomatico spagnolo, Tobruk avrebbe superato ogni dubbio sull’intesa nonostante le reiterate richieste di Tripoli di ridimensionare il ruolo di Haftar nella transizione verso le prossime elezioni. Proprio le richieste del Cng avevano provocato una spaccatura insanabile all’interno dei dirigenti di Tobruk con il premier Abdullah al-Thinni pronto a lasciare la Libia pur di evitare il muro contro muro con Haftar.

I governi di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Stati uniti che dovrebbero prendere parte, a diverso titolo, ad una missione di peace-enforcement in Libia sotto l’egida delle Nazioni unite hanno reso noto un documento congiunto in cui auspicano che l’accordo per la nomina dei ministri del governo di unità nazionale entri in vigore entro il 21 ottobre.

Dalla missiva si evince che il mandato di León potrebbe essere anche esteso brevemente oltre la scadenza naturale del 30 settembre pur di veder concretizzarsi i suoi auspici di intesa.

«Esortiamo tutte le parti del dialogo a continuare a partecipare in maniera costruttiva ai colloqui in questa fase cruciale dei negoziati», si legge nella nota. Secondo i cinque governi occidentali, il tempo a disposizione della Libia per affrontare le «criticità umanitarie, economiche e di sicurezza, compresa la diffusione di gruppi affiliati all’Isis e di organizzazioni criminali coinvolte nel traffico di esseri umani, sta scadendo».

A questo punto l’intesa formale potrebbe arrivare alla vigilia delle festività religiose dell’Eid el-Adha del prossimo 23 settembre. Ma che poi questo accordo davvero passerà dalla carta a stabilizzare il paese è ancora tutto da verificare. E con l’avanzata di Isis anche un secondo attacco dopo il 2011 diventa sempre più probabile nonostante gli sforzi di León.