E così, quella bestiaccia del covid si è portato via anche Raoul Casadei. Conosciuto in tutto il mondo come il re del liscio, che in Romagna si pronuncia lissio, nato a Gatteo il 15 agosto 1937, morto ieri mattina all’ospedale Bufalini di Cesena dove era ricoverato dal 2 marzo, Raoul Casadei è stato il continuatore di una tradizione di famiglia, portata avanti dal figlio Mirko, che ha fatto e fa ballare valzer, polke e mazurke a generazioni in tutto il mondo. Oltre a molti colleghi musicisti che hanno salutato Casadei sulla sua pagina facebook (fra cui i Nomadi, Maurizio Vandelli, Laura Pausini, i Modena City Ramblers), in gramaglie c’è non solo la sua Romagna, ma un intero Paese che ha sempre riconosciuto al liscio e alle sue balere il grande merito di portare voglia di vita.

SENTI CLARINETTO, tromba e sax attaccare La mazurka di periferia o Ciao mare e ti viene da saltare subito in pista, ascolti la fisarmonica iniziare Romagna mia e i piedi non possono più stare fermi sotto una sedia. Il liscio non è un semplice ballo, è un modo di vedere l’esistenza che Casadei ha portato al parossismo con le sue orchestre numerosissime, le divise sberluccicanti, le cantanti potenti di voce e procaci di forme, il sorrisone che fa pensare a pacche sulle spalle, mangiate e bevute, le camicie aperte sul petto illuminato da medaglioni luccicanti. Il liscio si porta dietro, grazie anche ai Casadei, una coreografia e una musica che nell’immaginario popolare sono associate da una parte alla giovialità della Romagna, dall’altra alle feste dell’Unità.
In realtà, Raoul non è stato l’iniziatore dell’avventura Casadei, ma il continuatore. A fondare l’orchestra nel 1928 fu lo zio Secondo che, invece di fare il sarto come i genitori, seguì la passione della musica diventando violinista, arrangiatore e compositore di successi con tanto di contratti con case discografiche quali la Fonit e La Voce del Padrone. Sua è la più celebre delle canzoni dei Casadei, Romagna mia, composta nel 1954. Raoul cominciò a suonare a sedici anni, quando lo zio gli regalò una chitarra, ma per diciassette continuò anche a fare il maestro di scuola elementare.

POI, QUANDO decise di darsi solo alla musica, lo zio rinominò l’orchestra anche con il suo nome chiamandola «Orchestra Secondo e Raoul Casadei». Da lì in poi è stato un crescendo di successi e notorietà, complici la televisione e la partecipazione al Festivalbar, a Un disco per l’estate, a Sanremo, poi la creazione de «La casa del liscio», a Ravenna nel 1975, un insieme di iniziative che hanno portato il liscio e il marchio Casadei da realtà locale a notorietà internazionale. C’è dietro del genio imprenditoriale supportato da orchestre con musicisti di prima grandezza, gente come Giorgio Pullini al basso, Renzo Vallicelli detto «Il Rosso» alla tromba, Franco Bergamini alias «Terremoto» al clarinetto, Moreno «Il Biondo» Conficconi alla chitarra, o le voci di Arte Tamburini, Luana Babini, Mauro Ferrara. Scorrere i nomi dei musicisti significa incappare in una miriade di soprannomi che, oltre ai già citati, sono «La Grinta», «Ruspa», «Giorgione», «Lucio di Cesenatico», «Robertino». D’altra parte anche Secondo ne aveva uno, «La Strauss di Romagna».

IL LISCIO non esiste senza le balere e, come alle bande di paese, gli si deve la nascita anche di musicisti classici. Danilo Rossi, prima viola dell’orchestra del teatro alla Scala e originario di Forlì, ha visto nascere la sua passione proprio con i Casadei e i concerti che tenevano gratuitamente nella piazza di Forlì ogni primo maggio.

«RISALE ai miei quattro anni il primo ricordo. I Casadei suonavano le loro canzoni davanti a una piazza strapiena. Allora lì erano quasi tutti comunisti. C’era ancora Secondo, che suonava il violino, e forse fu proprio lui a ispirarmi, fatto sta che tornato a casa cominciai a imitare il gesto del violinista ballando il valzer che mia nonna mi aveva insegnato in cucina, dopo aver spostato tavolo e sedie. Il liscio è legato a filo doppio alla Romagna e il suo fascino sta in tre cose. La prima è il ballo. Lì era impensabile andare in balera e stare seduti, quindi si veniva educati fin da piccoli a muovere i piedi a ritmo di valzer e mazurke. E poi il ballo è corteggiamento, stringi la donna e puoi fare il galletto. La seconda è che in Romagna abbiamo inventato il valzer delle balere che non è come quello che si ballava a Vienna, ma quella cosa che quando la senti ’At to sò’, ti tira su sulla pista. Infine ci sono i testi delle canzoni e ne cito una per tutte, Il Passatore, bandito realmente esistito che rubava ai ricchi. La musica è di Secondo, mentre Raoul ha scritto un testo memorabile che dice ’Questa è la triste storia di Stefano Pelloni, in tutta la Romagna chiamato il Passatore, odiato dai signori, amato dalle folle, dei cuori femminili incontrastato re’. Nelle strofe successive, in un montaggio sapientissimo da ballata che unisce recitato, valzer e inserisce un fischio, racconta la sua impresa più celebre, quando durante uno spettacolo al teatro di Forlimpopoli, al rialzarsi del sipario prima dell’inizio del secondo atto, si presenta in palcoscenico con la sua banda e ’Con un sorriso saluta la folla, poi guarda i palchi dei ricchi padroni, li vuole tutti inchinati ai suoi piedi, in compagnia di venti scudoni’» .
Ecco, per capire dove sta la sinistra a volte basterebbe ascoltare un valzer. Romagnolo ovviamente.