Lisa Batiashvili, violinista tedesco-georgiana fra le più brillanti della scena internazionale, ha viaggiato con l’Accademia di Santa Cecilia e Antonio Pappano in una tournée che dal Lussemburgo li ha portati a Londra, passando per Vienna, Praga e Dresda. Doppio programma, Sesta sinfonia di Mahler fiammeggiante che a Vienna ha conquistato il pubblico del Konzerthaus e il dittico russo Una notte sul monte calvo e Shéhérazade, accanto al Primo concerto di Bartok, che Batiashvili aveva interpretato già a Roma.

Riscoperto negli anni ‘50 questo concerto rimane poco eseguito: come mai?

Forse per il carattere di apparente incompiutezza dei due soli movimenti, il primo, lento e bellissimo, il secondo che è quasi una trasfigurazione folle dell’altro. È un capolavoro, una dichiarazione d’amore, peraltro respinta dalla dedicataria, così scoperta e umana che appassiona anche chi l’ascolta per la prima volta. Quando preparato con prove approfondite, come quelle di Pappano e con la qualità della sua orchestra, il concerto esce fuori al meglio.

Avete girato l’Europa nel periodo pre-elettorale: sente differenze nei pubblici nazionali, nel carattere?

A volte, ma è difficile definire con precisione il pubblico di una città, un misto di appassionati di musica, altri meno informati ma entusiasti, persone anziane e anche molti giovani, specie in Germania. Talvolta riesco a riesco a sentire intensamente che sto suonando per ognuna di quelle persone, altre volte prevale la forza della musica oppure sono più coinvolta dall’intesa coi colleghi. Noi europei siamo fortunati, con distanze brevi possiamo confrontarci con culture ricche e diverse, ritrovando poi qualcosa che ci raccoglie tutti, quello spirito europeo che per me è stato un sogno sin da bambina. Ci sono problemi politici ma io continuo a credere in questo sogno.

In che direzione va il suo repertorio?

Il prossimo progetto discografico indaga le musiche del cinema o dei patrimoni tradizionali. Vorrei potenziare le collaborazioni anche con i musicisti jazz, mi piace provare a superare i miei limiti, sperimentare.

La musica ci circonda, dagli spazi pubblici agli smarphone: che significa per lei questa pervasività?

Ogni giorno riceviamo un’enorme quantità di informazioni che il nostro cervello deve per forza filtrare. In effetti mi rendo conto che l’attenzione verso la musica non ha più la stessa qualità. Una deriva cui dobbiamo opporci, puntando sulla qualità, senza assecondare i tempi iper-veloci della società; anzi far capire al pubblico che l’arte ha bisogno di un tempo scandito in modo diverso rispetto alle tecnologie online.