Gli attacchi di ieri contro stazioni di polizia a Baghdad e i 23 morti che hanno trascinato con sé sono lo specchio dei settarismi interni che il paese vive dalla caduta di Saddam Hussein. L’esercito e la polizia, a cui rimpasti hanno messo mano gli Stati uniti e il vecchio alleato, l’ex premier Maliki, ripulendoli dalla componente sunnita, sono considerati ulteriori strumenti di discriminazione da parte sciita.

I morti di ieri e le migliaia di vittime degli ultimi anni sono figli delle divisioni interne e non solo dell’avanzata dell’Isis che sfrutta in molte comunità sunnite la rabbia verso il potere centrale. Per questo ieri il nuovo primo ministro al-Abadi ha deciso di mettere le mani alla composizione dell’esercito.

Dietro l’accusa di incompetenza e corruzione il premier ha rimosso 26 generali, sostituendoli con 18 nomi nuovi, prima mossa concreta nella revisione di un esercito allo sbando perché completamente rimaneggiato durante gli anni dell’occupazione Usa. Maliki aveva fatto delle truppe governative un esercito a lui personalmente fedele, attraverso una chiara politica clientelare. Tanto che molte delle brigate d’élite rispondevano agli ordini diretti dell’ex premier, invece che al capo di Stato maggiore.

La decisione arriva mentre l’amministrazione Washington prosegue con la stessa strategia di agosto: raid aerei e invio di truppe che piedi nel terreno non ne metteranno ma saranno incaricati di addestrare i soldati iracheni. Le conseguenze sono palesi: lo Stato Islamico prosegue nella sua avanzata, con peshmerga e truppe irachene incapaci di frenare i miliziani e i kurdi siriani lasciati da soli a resistere ad un assedio che ormai dura da due mesi.

Nonostante gli scarsi aiuti da fuori, le Unità di protezione popolare sono riuscite martedì ad avanzare ulteriormente dentro Kobane e ieri hanno bloccato una strada usata dagli islamisti per rifornire i miliziani dentro la città e che dal villaggio occupato di Hilnij arriva nella zona sud est di Kobane. Ad annunciarlo è stato il funzionario Idris Nassan: le Ypg hanno assunto il controllo della collina di Mistanour e della strada che corre a valle «usata dall’Isis per introdurre combattenti e munizioni».

E se i kurdi sono soli, chi gode di maggiore appoggio militare e finanziario sono sempre le opposizioni moderate siriane, nonostante la capacità di inserirsi nel conflitto sia sempre più limitata. Con Assad la coalizione non vuole parlare, ma è proprio il governo siriano a muovere passi che seguono le indicazioni delle Nazioni Unite: dopo aver aperto alla proposta Onu di cessate il fuoco locali con le opposizioni moderate, ieri Damasco si è accordato con l’Esercito Libero Siriano per una tregua a sud della capitale, nel quartiere di Qadam, per permettere ai residenti fuggiti dalle proprie case di farvi ritorno e ricevere aiuti umanitari e cibo.

L’accordo prevede l’uscita delle truppe governative dal quartiere e il riposizionamento agli ingressi. Era stato già negoziato ad agosto, ma solo ieri lo si è concretizzato. Il passo che l’Onu sta cercando da tempo per portare al tavolo del negoziato opposizioni e governo. Ma da parte dei ribelli e dell’alleato Usa la volontà di proseguire non c’è: la transizione politica è possibile solo senza Assad, ripetono. E a vincere intanto è l’Isis.