Preso nel fuoco incrociato di Renzi e Di Maio, il premier lascia passare 24 ore prima di passare al contrattacco. Ma quando replica, da Perugia, è durissimo: «La manovra è stata approvata da tutte le forze politiche, incluso l’M5S. Bisogna fare squadra e chi non la pensa così è fuori dal governo». Del vertice di maggioranza chiesto da Di Maio e Renzi, previsto per lunedì mattina ma solo basandosi sul fatto che era già convocato un tavolo tecnico per mettere a punto i contenuti del dl fiscale, Conte non parla. In compenso blinda la manovra negando ogni possibilità di ritorno del testo al consiglio dei ministri: «Non può essere né smantellato né toccato. Ho iniziato con un M5S che gridava ‘Onestà, onestà’ e ora le forze politiche non possono e non devono tirarsi indietro».

È UNA STRATEGIA MESSA a punto dal premier con Zingaretti. Il segretario del Pd nega che esista quell’asse tra lui e Conte che ha mandato fuori dai gangheri Di Maio. Ma il rapporto privilegiato, stretto nelle ultime settimane, è reale. I due si sentono spesso e non è certo un caso che entrambi, anche in questo frangente, si muovano in perfetta sintonia. L’attacco concentrico di venerdì era già sembrato un segnale già inequivocabile. Quando ieri le agenzie, dalla Leopolda, hanno battuto le parole di Maria Elena Boschi, ispirate se non dettate da Renzi, Zingaretti, come tutto il vertice del suo partito, è rimasto di nuovo a bocca aperta: «Il Pd è il partito delle tasse». Poco dopo la ministra Bellanova rincara: «Noi siamo il partito del ‘No Tasse’.

L’emergenza è il lavoro e non lo si crea con nuove tasse». Dalla platea renziana, inoltre, fioccano attestati di stima per Luigi Di Maio. «Alle politiche saremo avversari», assicura ancora la Bellanova. Ma per ora i 5S e Italia Viva marciano appaiati per colpire l’obiettivo comune: Giuseppe Conte. Ieri il Movimento, dopo la richiesta di riscrivere per intero la manovra, ha tenuto i toni bassi. Non parla nessuno ma nell’aria aleggia ancora l’eco della sfuriata di Di Maio per il presunto asse tra Conte e Franceschini nell’ultimo consiglio dei ministri.

IL VICESEGRETARIO ORLANDO è il primo a rispondere: «Italia Viva è M5S dicano se la fiducia è venuta meno e non vogliono più il governo». Ma la replica vera sono le voci che Zingaretti fa filtrare senza esporsi direttamente. Un messaggio è secco: «Devono capire che così vanno a sbattere». Il segretario sa che l’offensiva degli alleati si basa sulla convinzione che in nessun caso il Pd oserà far saltare il governo e andare al voto. Sono convinti, tanto Renzi quanto Di Maio, di poter logorare Conte senza rischiare niente, magari con l’obiettivo di arrivare al blitz e al cambio di premier in primavera. Una manovra di cui in Parlamento si discute apertamente e alla quale il fondatore di Italia Viva ha in alcune occasioni alluso, sia pure in forme sibilline.

IL SOLO MURO PUÒ DUNQUE essere sfatare quella leggenda. Far capire ai riottosi alleati che, al contrario, il leader del Pd è prontissimo ad affrontare elezioni che, fosse stato per lui, sarebbero state decretate già in agosto. Fa dunque in modo che per tutto il giorno arrivino alle orecchie di Renzi e Di Maio voci insistenti sul suo piano di battaglia. Se la fibrillazione proseguirà e diventerà intollerabile, il Pd sceglierà le elezioni con una coalizione guidata, come candidato premier, proprio da Conte, sia perché è il più popolare tra i possibili rivali di Salvini, sia perché dovrebbe coprire quell’area di elettorato centrista e moderato sulla quale punta Renzi.

ZINGARETTI FA SAPERE di non nutrire alcuna illusione sulla possibile vittoria. Sa che con ogni probabilità il centrodestra uscirebbe vincente e governante dalle urne. Ma la coalizione del Pd dovrebbe attestarsi intorno al 40%, il bipolarismo verrebbe ripristinato con il partito del Nazareno leader della sola alternativa possibile alla destra di Salvini. Da elezioni con il Rosatellum, inoltre, Renzi uscirebbe spianato, l’M5S drasticamente ridimensionato, Di Maio disarcionato. Insomma, fa sapere il Pd, Zingaretti nelle elezioni anticipate non ha nulla da perdere e molto da guadagnare. Renzi e Di Maio, che il voto invece lo temono davvero, faranno bene a tenerne conto.

È A PARTIRE DA QUESTA BASE che Conte scatena la sua controffensiva. Con l’obiettivo preciso di mettere alle corde una volta per tutte sia Di Maio, con la sua richiesta di riscrivere la manovra, sia Renzi, con l’idea per il premier inaccettabile di spaccare la maggioranza in aula sia su quota 100 che sulla sugar tax.