Dunque a sinistra qualcosa si è messo in moto. I processi in campo sono due: la nascita del gruppo parlamentare Sinistra Italiana e l’appello Noi ci siamo. Con Sinistra Italiana ci sono i parlamentari di Sel ed ex parlamentari Pd. Noi ci siamo, sottoscritto da Rifondazione, Act, Sel, L’Altra Europa, Possibile (Civati) e Futuro a Sinistra (Fassina), propone l’avvio di un processo costituente per un nuovo soggetto di sinistra.

Che qualcosa si sia messo in moto è positivo e risponde a un’attesa diffusa. Il modo in cui il processo è cominciato evidenzia però anche problemi e tensioni.
Il primo è il rapporto tra i due percorsi: quanto sono convergenti Sinistra Italiana e Noi ci Siamo? Il ceto politico-istituzionale di Sinistra Italiana si metterà a disposizione della costruzione di un processo costituente, di una forza ‘plurale e aperta’ che deve per forza essere molto più ampia dell’attuale rappresentanza parlamentare? È disposto a cedere sovranità e visibilità per dare spazio a nuovi soggetti? La costituzione del gruppo può anche apparire un’ipoteca sul percorso unitario, una sua preventiva e precoce istituzionalizzazione, un’acquisizione di protagonismo da parte di chi è già presente escludente verso chi non lo è ancora.
Nel frattempo, Civati costruisce Possibile come partito autonomo e forse si ispira, se il nome tradisce le intenzioni, al modello-Podemos (una nuova forza che si smarchi dalla sinistra tradizionale). Ma firma il documento Noi ci Siamo, non entra in Sinistra Italiana e propone Possibile come spazio di unificazione della sinistra. Una situazione abbastanza intricata.

La storia recente è piena di lezioni, ma la coazione a ripetere le segue difficilmente. Il tentativo di Rifondazione comunista di costruire un partito-movimento nei primi anni Duemila (Sinistra Europea), la Sinistra Arcobaleno, Cambiare Si Può-Rivoluzione Civile, l’Altra Europa con Tsipras: questi processi unitari sono falliti o sono entrati in difficoltà per lo stesso motivo, la prevalenza della logica di ceto politico sulla costruzione di processi aperti e innovativi. Logica di ceto politico, in questo caso, vuol dire: un iper-istituzionalismo e un elettoralismo spesso disinteressati a costruire un rapporto con i movimenti e le forze sociali; la necessità di garantirsi cariche istituzionali e ruoli dirigenti, anteposta, fino a schiacciarla, alla costruzione di processi politici reali legati a processi sociali reali; la costituzione di organizzazioni politiche per via di accordi paralizzanti tra segreterie, pezzi di dirigenze e rappresentanze (comprese quelle «di movimento»).

La costruzione di un nuovo soggetto attraverso meccanismi come questi pone una serie intricata di vincoli: le organizzazioni promotrici si controllano e limitano a vicenda; il perimetro d’azione del nuovo soggetto viene segnato in modo da contenere le differenze tattiche tra i vari gruppi, impegnandoli nel controllo dei confini di questo perimetro più che nell’azione esterna; le aspirazioni degli eletti o degli aspiranti tali e i vari sogni personali di leadership occupano gran parte dello spazio di azione. Per ora non siamo lontani da questo solco. Bisogna allontanarsene il prima possibile.

C’è un solo modo perché un processo avviato in questo modo, e quello attuale lo è, abbia un destino diverso: che subisca un’invasione. Tutti coloro che sono interessati alla nascita di un nuovo partito della sinistra non possono questa volta osservare, applaudire o criticare il nuovo o vecchio dirigente che sale sul palco. Devono invadere lo spazio. Niente si autoriforma e nessuno si fa da parte da solo. Se non si è incalzati e spiazzati, si recita l’eterno ritorno dell’uguale. Chi da decenni è abituato al politicismo (o l’ha imparato precocemente) imposterà le cose, anche quando è completamente in buona fede, sul modello politicista.
Nuove pratiche, nuovi atteggiamenti e nuove idee possono essere messi in gioco solo da nuove forze. Che questo succeda è necessario non per motivi «morali», ma di efficacia: è il solo modo in cui un nuovo partito possa vivere. Tutto deve dare l’impressione di essere completamente nuovo, e non si tratta affatto di una questione anagrafica: si tratta delle forme dell’agire politico e della storia politica (della credibilità) di chi le interpreta. La frattura vecchio/nuovo è irritante e fuorviante, ma segnala anche una questione storica reale. Non si può far finta che il senso comune non ne sia intriso. In questa fase storica, per la sinistra politica, il coinvolgimento reale di organizzazioni sociali e individui esterni alle forze politiche esistenti non è un orpello: o arriveranno da lì nuova linfa e nuova energia o non succederà niente di significativo.

Il secondo tema è quello, eterno, delle alleanze. Civati è per fare ovunque, alle amministrative, liste alternative al Pd, ma sogna la ricostruzione di un centrosinistra ‘prodiano’, che è la stella polare di tutti i parlamentari che escono dal Pd. La posizione di Sel non è chiarissima: se e quando il Pd non sarà più guidato da Renzi (c’è la possibilità che quel partito finisca con questa leadership), la prospettiva del centrosinistra si riproporrà tale e quale? La nuova sinistra nasce anti-renziana, è un processo costruito in negativo, in contrapposizione a qualcos’altro. L’ha fatta nascere Renzi. Non è ancora un progetto alternativo al Pd e non ha un’analisi condivisa su cosa sia quel partito. Non è difficile immaginare un ritorno a casa di molti ex Pd appena la leadership del loro vecchio partito dovesse cambiare (anche qui, la storia insegna), né un riavvicinamento al Pd di Sel. È quindi molto rischioso che la «regia» del nuovo partito sia collocata tra queste forze.

Sui parlamentari usciti dal Pd vale la pena aggiungere una cosa. Tutti loro stanno giocando un ruolo di primo piano nei discorsi che riguardano il nuovo soggetto politico. Da chi ha votato le leggi dei governi Monti, Letta e Renzi, sostenuto l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi e brindato al 40% delle europee, ci si poteva aspettare un po’ più di umiltà: non necessariamente ricominciare dalla militanza e dalla gavetta, ma almeno evitare di salire sulla cattedra da cui si dettano linee e contenuti del nuovo partito. Anche per evitare esiti di questo tipo, è necessaria un’appropriazione collettiva dello spazio che verrà costruito.