Dopo Conte, c’è soprattutto un ministro che Renzi butterebbe giù volentieri ed è Bonafede. Tanto volentieri, che se dovesse riuscirci allora anche quel rimpasto che il leader di Italia viva continua a considerare un esito troppo limitato per la crisi che ha scatenato, riuscirebbe a presentarlo come una sua chiara vittoria. Ma Bonafede è inattaccabile, ogni volta che nei colloqui politici i rappresentanti di Iv sollevano il suo caso il discorso si interrompe. Lo sanno tutti che il presidente del Consiglio non può sacrificarlo. Non è stato Conte a introdurre Bonafede al governo, è più vero il contrario. Per estrema prudenza, il ministro, che pure è il capo delegazione dei 5 Stelle al governo, sta attraversando la crisi con quel sorvegliato silenzio (le dichiarazioni obbligate le firma con Crimi) che è da sempre il rifugio di chi si sente messo in discussione.

Quasi otto mesi dopo, la situazione è ancora quella dello scorso maggio, quando Renzi minacciava di votare con la destra (e quindi di far passare) la sfiducia a Bonafede, salvo fermarsi all’ultimo momento. Motivando poi lo stop con parole che a rileggerle oggi ben chiariscono la spregiudicatezza del fiorentino. «Conte ha detto chiaramente che avrebbe tratto le conseguenze politiche – disse allora Renzi parlando della eventuale sfiducia a Bonafede – e quando parla il presidente del Consiglio si rispetta e si ascolta».

Rispetto e ascolto sono archiviati, ma otto mesi sono passati invano per quella commissione ministeriale «di approfondimento e monitoraggio» sulla riforma della prescrizione che fu allora la chiave per evitare la sfiducia. Bonafede l’aveva promessa, Renzi voleva che fosse guidata dal presidente delle camere penali Caiazza, ma non è mai stata istituita. Al contrario, nella prima bozza del Recovery plan la riforma della prescrizione – ovverosia la cancellazione dell’istituto dopo la condanna in primo grado – che per i renziani e in teoria anche per i democratici è una ferita nel diritto penale, è stata presentata come un successo del governo. Del governo precedente, in realtà, perché lo stop alla prescrizione risale ai giallo verdi. Quello che nell’ordinamento penale italiano è un istituto a garanzia del cittadino imputato, per il Recovery prima maniera era niente altro che «la gratuita estinzione del reato». Una pietra sule ambizioni dei renziani (e, più silenziose, anche del Pd) di tornare sul tema con gli emendamenti al disegno di legge delega di riforma del processo penale, da presentare per fine gennaio, visto che la mediazione trovata con il cosiddetto «lodo Conte-bis» non soddisfa.

Il primo risultato ottenuto da Iv è stata la cancellazione del capitolo giustizia dalla nuova bozza del Recovery: nella sintesi ci sono solo poche parole che sanno di resa: una riforma «ambiziosa» della giustizia è certo necessaria, ma adesso è «da precisare meglio nel merito e nei tempi di attuazione». Qualcosa di più ci sarà nel testo definitivo del Recovery, la divisione dei fondi prevede per la giustizia due miliardi che adesso sono al buio. Intanto ieri la nuova giunta Santalucia dell’Associazione magistrati ha deciso di costituire una commissione sul Recovery «per la ripresa dell’efficienza del sistema giustizia».