Il rischio nel rievocare Morricone e la sua opera è, ovviamente, di argomentare esclusivamente per superlativi. Lasciarsi andare all’entusiasmo per l’autore di temi immortali e perdere di vista il contesto storico e produttivo nel quale il compositore romano ha lavorato e vissuto. Poi, inevitabilmente, c’è l’aneddotica. Tutti, proprio tutti, nel mondo del cinema italiano vantano un episodio del quale Morricone è protagonista diretto o indiretto (lo stesso musicista è stato a volte artefice di storie che poi sono diventate leggendarie). Per questo motivo il lavoro di Giuseppe Tornatore, che possiamo senz’altro annoverare sin da ora nel pantheon del regista siciliano, insieme a Il camorrista, Nuovo Cinema Paradiso, L’ultimo gattopardo: Ritratto di Goffredo Lombardo, La migliore offerta e Una pura formalità, si offre non solo alla stregua di un omaggio doveroso e commosso ma, soprattutto, come il corretto tentativo, completamente riuscito, di contestualizzare l’opera morriconiana nella storia delle vicissitudini industriali, artistiche e creative del suo cinema inquadrandola nel contesto più ampio della storia italiana. Il regista siciliano ha creato con Morricone, a partire da Nuovo Cinema Paradiso, uno straordinario sodalizio che di fatto ha permesso al musicista di esplorare sonorità in totale libertà e sempre in funzione della poetica tornatoriana. Basti fare il solo esempio de La corrispondenza, forse uno degli apici morriconiani degli ultimi anni, per avere conferma dell’enorme libertà e fiducia di cui beneficiava il compositore. Per questo motivo solo Tornatore poteva raccontare Morricone con tanta intimità, affetto e complicità. Una sintonia autentica che ha portato due mondi espressivi a compenetrarsi naturalmente. Che Tornatore stesse lavorando a un documentario dedicato all’amico Ennio era nell’aria da molto tempo e l’attesa e la curiosità sono inevitabilmente montate progressivamente.

EPPURE, nulla di quanto ci si poteva legittimamente aspettare da Ennio, può rendere ragione della commozione profonda che il film suscita. Tornatore ripercorre tutta la vita di Morricone: dall’infanzia passando per la formazione con Petrassi, alla collaborazione con Migliacci e Gianni Morandi, lo straordinario racconto di come è venuto alla luce l’arrangiamento de Il barattolo di Gianni Meccia, senza indulgere mai nella tentazione di forzare l’emozione, lasciando semplicemente che emerga dal racconto e, dalla consapevolezza dello spettatore, di quanto la produzione morriconiana sia intimamente intrecciata alla storia della nostra memoria collettiva. Tornatore riesce mirabilmente a rendere il ritratto di un uomo in grado di lavorare a più progetti contemporaneamente, a immergersi totalmente nella scrittura e nella realizzazione, riducendo al massimo il tempo dedicato al riposo senza perdere lucidità e creatività. E progressivamente che il film procede nel racconto, si osserva come Morricone, in fondo, inevitabilmente fuggisse il conforto del successo e la tentazione della ripetizione. Innamorato della musica, tormentato da una spinta feroce a migliorarsi sempre, studioso instancabile, è riuscito nell’impresa di diventare, probabilmente suo malgrado, un punto ineludibile dell’immaginario cinematografico di tutti i tempi; senz’altro il compositore «per musica da film» (virgolette obbligatorie) più amato e riconoscibile di sempre nonostante, e questo è un altro merito del film di Tornatore che lo evidenzia con grande chiarezza, sia anche il più sperimentale, avanzato e complesso.

LE TESTIMONIANZE infinite di stima per Morricone che Tornatore monta sul finale del film, sono la prova ulteriore, qualora ce ne fosse ancora bisogno, della risonanza enorme ottenuta dalla sua opera. Premio Oscar, primo Pardo d’onore del Locarno Film Festival nel 1989, una sfilza infinita di capolavori per un l’uomo che Carlo Hintermann definisce «la quintessenza della romanità», del quale una sola composizione, tema o arrangiamento avrebbe fatto la storia o la fortuna di qualsiasi altro musicista. Giuseppe Tornatore con Ennio racconta un uomo, un artista, un romano, un musicista, un compositore quasi irraccontabile nella sua impensabile vastità. E lo ha fatto con il pudore di chi pur avendo avuto un accesso privilegiato, ha scelto il registro del piano e a volte persino del pianissimo, come quando a notte fondea o alle prime luci dell’alba ci si confida con un amico o un amante. Ennio è probabilmente uno dei più acuti ritratti documentari mai realizzati. Dobbiamo essere grati a Tornatore per essere riuscito a far emergere l’uomo Morricone, nella sua complessità, dal magnifico alone mitologico che lo avvolge e che continuerà ad avvolgerlo. Così, quando alla fine scorrono calde e incontenibili le lacrime, non possono non tornare alla memoria i versi di Sergio Leone che chiedevano «ma ’ste musiche belle, ’sti magnifichi soni, ma quando li componi?». Uno stupore, grato, che Giuseppe Tornatore conserva e ci restituisce intatto nel suo incanto misterioso.