C’è, in certi ambienti dediti in particolare al marketing e alla comunicazione, la crescente abitudine, soprattutto da parte di donne, di rivolgersi all’interlocutrice con allocuzioni tipo «Ciao cara. Certo cara. Dimmi tesoro».

Sarò spinosa, ma è un modo di fare che mi mette all’istante in allarme perché puzza di insincerità e opportunismo. Mi chiedo subito che cosa si nasconda dietro quella profusione di carineria non richiesta e non necessaria. Mi sta tenendo buona? Vuole chiedere un favore scomodo? Mi sta dicendo un no addolcito? È una captatio benevolentiae? Non sto dicendo che la ruvidezza è meglio, ma che un sobrio andare diritto al punto e chiamare la gente con il nome che ha è una scelta di stile. Chiaro, semplice, senza smancerie.

Il Cara e Tesoro usati come sostitutivi del nome proprio inseriscono nella relazione un che di zuccheroso che, a mio parere, andrebbe dosato con estrema cautela, se non eliminato del tutto, anche nelle relazioni amorose, figurarsi nei rapporti di lavoro o amicali.

Nonostante i Darling abbondassero nelle commedie americane degli anni Cinquanta, per fortuna da noi non hanno attecchito. Se in una coppia i due si chiamano in continuazione Caro e Cara anziché, che so, Luca e Francesca, dopo un po’ quel Cara perde valore perché abusato.

MA ALLORA, se ci siamo salvati da quella iattura nella vita di coppia, perché infilarlo nei saluti delle email o delle telefonate proprio adesso? Che bisogno c’è di squittire tutti quei Cara di qui e Tesoro di là?

Sospetto sia una moda che ha preso piede proprio là dove il miele viene usato come impianto dell’apparenza per nascondere un retroscena di convenienze. Senti dire Ciao cara da persone che frequenti solo tramite posta elettronica o sms e pensi: ma perché le sarei così cara? Ha bisogno di te e quindi ti liscia il pelo? Non le piaci, ma non può dirtelo, e di conseguenza si mette una maschera? Deve dirti una cosa sgradevole e allora la addolcisce con un calmante? O forse vuole tenerti buona perché le potrai servire?

Si sa, i rapporti di lavoro sono sempre basati su un do ut des. Se non fosse così, non esisterebbero i salari, i compensi, i contratti. Visto che tutti lo sappiamo e ci regoliamo di conseguenza, invito le abusatrici del «Ciao cara dimmi tesoro» a dismettere la loro messa in scena e a diventare più trasparenti. Anche perché lavarsi via tutto quello zucchero ridà ai rapporti la loro verità.

In Il diario di Jane Somers Doris Lessing assegna questa insofferenza per le carinerie d’ufficio a uno dei personaggi. Si tratta di un’anziana paziente di una casa di cura, Mrs Flora Medway, che vuole essere chiamata solo con il cognome. Quando arriva un’infermiera nuova e le si rivolge chiamandola cara, carina, tesoro, o Flora, lei dice subito: «Non mi tratti come una neonata, sono abbastanza vecchia da essere la sua bisnonna». L’infermiera, che ha imparato, osservando le colleghe, a vezzeggiare le persone anziane, a convincerle a mangiare con frasi tipo «un altro cucchiaino per me, da brava», come si fa con i bambini, oppure, «via, facciamo sparire la minestrina così non ci pensiamo più, tesoro», resta interdetta.

IN OGNI CASO, anche rivolgersi così ai bambini significa sminuirli perché si insegna loro, nella migliore delle ipotesi, la tecnica dell’accerchiamento mellifluo, nella peggiore li si tratta da scemetti, quali non sono, facilmente pilotabili con diminutivi, vocine in falsetto, picci qui picci là, tesorino, amorino.

La panna montata va bene, ma solo ogni tanto, non su tutto e in dosi minime.

mariangela.mianiti@gmail.com