No, non si può essere seri a diciassette anni, e non può esserlo nemmeno Isabelle, bellissima ragazzina – interpretata con gelida seduzione da Marine Vacht, già icona di Cannes 66 – che soffia sulla torta delle sue diciassette candeline dopo essersi liberata dell’ingombrante verginità una notte d’estate grazie al ragazzone tedesco Victor. Ma lui è troppo stupido per meritarsi l’invito alla tavola di genitori e amici, il gruppo di adulti spensierati che condividono le vacanze, e dei figli vogliono essere coetanei e confidenti prima che padre e madre. Non la capisco, sospira il poveretto quando all’improvviso lo ignora sulla spiaggia. Per forza, lei è francese e tu sei tedesco replica il fratellino di Isabelle bambino sveglio e ancora confuso sui generi e sulle declinazioni del desiderio. Ma quel piacere intenso fantasmagoria dei pomeriggi di masturbazione, Isabelle non l’ha provato, anzi mentre lui si agitava lei fissava le stelle. Dunque? Non si può essere seri a diciassette anni: i versi di Rimbaud, e le canzoni di Françoise Hardy (uscirà in Italia il 22 maggio il suo romanzo L’amore folle, pp. 176 euro 15, Collana Gare du Nord) ispirano il nuovo film di François Ozon, Jeune et Joli, primo dei sei film francesi in concorso, quasi un romanzo di formazione che come il precedente Dans la maison (Nella casa) esplora la materia sfuggente dell’adolescenza, e insieme del suo controcanto, la cosiddetta «età adulta», perché in Ozon le due dimensioni sono intimamente intrecciate, anche nella loro distanza, moltiplicando fantasmi e proiezioni proibite.

Per questo la ragazza inizia a prostituirsi, un sito web, un telefono segreto, i clienti sono in maggioranza uomini molto più vecchi, che incontra negli hotel di lusso o a due stelle, ma anche nei parcheggi, a volte delicati, altre sprezzanti, tutti che a loro volta cercano in lei, la Puttana, una possibile risposta alle proprie fantasmagorie. [do action=”citazione”]Il racconto, scandito in quattro capitoli che corrispondono alle quattro stagioni, ognuna con la sua canzone, segue le sperimentazioni della protagonista, e quella ricerca, forse impossibile di un piacere che corrisponda al suo desiderio.[/do]

L’autunno e l’inverno corrono via e Isabelle, in arte Lea, acquista sicurezza, tra gli uomini tutti uguali, incapaci di seduzione. Il solo diverso è forse quel vecchio che con lei cerca carezze, frammenti dei suoi seni, e inventa il piacere con tenerezza fantasiosa. Ma quando tenterà la «petite mort», troverà l’infarto di quella vera. Isabelle viene scoperta, per la madre è la sconfitta personale, la odia e la guarda con sospetto timorosa che possa sedurre il suo uomo. L’inverno è controllo, psicanalisi, la distanza. Ma anche la scoperta dei coetanei, i compagni di classe mai frequentati, le loro feste di troppe birre e pasticche che arrivano a primavera, un nuovo ragazzo con cui vagabondare per Parigi fino all’alba. Sarà l’amore? O solo l’ennesima delusione, la spinta a riaccendere quel telefono segreto di fronte alla nausea per l’abitudine in cui svanisce l’amour fou?

«Isabelle si prostituisce come potrebbe drogarsi, o bere, o soffrire di anoressia, l’adolescenza è un momento di frizione» dice Ozon. Che nella ricerca della sua protagonista, però fa esplodere soprattutto i fantasmi del maschile, e l’inadeguatezza della loro rappresentazione in un «genere». Quando Isabelle risveglia l’eros e il piacere del suo giovane amante, lo fa penetrandolo a sua volta con un dito, col sorriso sicuro con cui attraversa le sue esperienze, senza retorica né falsa tristezza, spavalda come solo a 17 anni si può essere nel rovesciare qualsiasi certezza.

Ozon costruisce i movimenti visivi di questo conflitto negli universi familiari, porte che si aprono, porte che si chiudono, di fronte alle quali esita il goffo e simpatico compagno della maddi Isabelle che ogni volta si trova davanti qualcosa, qualche scoperta imbarazzante, qualche motivo di rossore. E nel metro che inghiotte la ragazza a ogni nuovo appuntamento, nei segmenti trasognati della metropoli, ma soprattutto sul corpo della sua protagonista, nel suo sguardo lontano, e nel mistero della sua irrequietezza, alla quale riuscirà a dare una risposta solo una donna, forse un altro «fantasma» di sé (sublime Charlotte Rampling) può dare. Qualcuno si è scandalizzato (forse) e non si sa perché, lo sguardo di Ozon è pudico e delicato , e non è affatto misogino, la donna è al centro del suo cinema sempre, in una coincidenza di sguardo e di altrettanto impossibile desiderio.

Molto più rassicurante forse risulterà la misoginia tronfia di Heli del protetto/prodotto da Carlos Reygadas Amat Escalantes, già a Cannes con Los Bastardos. Heli è un giovane operaio che vive col padre, la moglie, il bimbetto e la sorella dodicenne Estella in qualche parte del Messico, lavorando nella vicina fabbrica. Da quando è nato il piccolo non riesce a fare l’amore con la moglie, che lo respinge. La sorella esce con un ragazzotto più grande che fa parte di un gruppo militare della polizia, danno la caccia ai narcotrafficanti ma sono probabilmente nel giro anche loro, difficile vedere le differenze. I guai iniziano quando il ragazzo ruba due pacchetti di cocaina per avere i soldi necessari a sposare Estella. Heli finisce nell’ingranaggio di gang e poliziotti, in un catalogo di violenze e torture – tra cui la scena del pene bruciato che ha semi svuotato la sala. Non è la violenza il problema, quanto l’uso compiaciuto e sprezzante che ne fa il regista, troppo preso dalla bellezza delle sue immagini, quei paesaggi western di un Messico laconico e degradato, per esprimere un po’d’amore per chi racconta. La vendetta diviene l’ossessione di Heli, quasi più del sesso, al punto che davanti all’offerta della poliziotta dei suoi seni quasi fugge.Sei frocio? Dice lei. E invece no. Perché compiuta la sua vendetta il nostro Heli finalmente sarà di nuovo maschio e riuscirà a fare sesso con la moglie. L’uomo è una macchina semplice in fondo, O no?