Ammirando qualsiasi parete di Villa Cattolica, sede della 5° edizione del festival di cinema d’animazione Animaphix, adibita all’affascinante mostra di immagini di Gianluigi Toccafondo, si coglie subito l’importanza del particolare nel conseguimento dell’opera finale. Ogni muro è ricoperto da sequenze di singoli fogli numerati, potenziali illustrazioni a sé stanti, utilizzati nella creazione dei suoi cortometraggi. Sono disegni suoi, fotocopie di foto e fotogrammi di film altrui, ritoccati e colorati a pennellate mirate, deformati quanto basta per distanziarsi dall’orginale in modo giocosamente ironico e creativamente libero. Ciascun rettangolo di carta, recante sul lato inferiore i fori standard per immobilizzarlo sul banco di ripresa il tempo necessario per effettuare gli scatti singoli atti alla realizzazione del film animato, è già di per sé un’unità espressiva. Il primo piano di donna fatale con capelli e occhiali neri o la strana ape con viso umano sono godibili sia indipentemente che come tessere di un mosaico murale multicolore, ma sono gli elementi che filmati in sequenza formano il cortometraggio La piccola Russia (2004, 16′). Animazioni impossibili da catalogare, seppur narrazioni d’autore, i corti di Toccafondo rivelano un approccio eclettico pronto a partire coscientemente per la tangente, come gli arti e le oreccchie dei personaggi che si allungano elasticamente fino all’inverosimile o i movimenti che si divincolano dalla loro funzione logica per liberarsi in volute ondivaghe e vortici repentini. Ci può essere la trama, come quella che si dà per conosciuta nel suo Pinocchio (1999, 7′), trattandosi soprattutto di una successione di episodi evocati. Ma Mangiafoco, i carabinieri e le monete d’oro si prestano più da base per una ricca imagerie fluida e una musicalità rotonda mirata a soddisfare i sensi percettivi. Artista poliedrico, animatore, illustratore, regista, Toccafondo ama connettersi a tutte le arti visive e musicali. Ne abbiamo parlato in occasione di Animaphix.

Che ruolo ha la musica nei tuoi film animati?

Inizialmente ero molto attento alla sincronizzazione tra immagine e musica, tant’è che uno dei miei primi cortometraggi La pista inizia con dei segni a ritmo di tango che poi si trasformano in disegni e immagini in movimento. Avevo riversato la musica in modo tale da avere tutti i sincroni musicali e la durata esatta delle animazioni che sarei andato a costruire. Ma così tutto diventava sempre più prevedibile, quindi ho cominciato a creare scene totalmente sganciate dalla musica. Il risultato mi sembrava più interessante perché inizialmente il disegno seguiva la musica, per poi perdersi e ritrovarsi, insomma il ritmo era più vario e imprevedibile. Da allora ho lavorato alle musiche solo alla fine e ho costruito liberamente le scene indipendentemente dal suono.
Ora hai un interesse più spiccato per la musica?

Nel 2014 hanno coinciso alcuni incontri decisivi per il rapporto con la musica: l’incontro col gruppo musicale C’mon Tigre e la collaborazione col Teatro dell’Opera. Ho iniziato la collaborazione con C’mon Tigre per il video del brano Fédération tunisienne de football (il mio primo videoclip). E’ stato molto divertente, ogni giorno abbiamo cambiato qualcosa dell’idea iniziale e così siamo rimasti incollati al computer alcuni mesi, mescolando a più mani idee, suggestioni, forme, toni, ritmi. Nello stesso anno é iniziata la collaborazione con il Teatro dell’Opera di Roma per la realizzazione dei manifesti per lirica e balletto e poi l’Operacamion, progetto di Carlo Fuortes e la produttrice Anna Cremonini. Nel 2012 ho fatto una proiezione dei miei cortometraggi all’Auditorium di Roma per un omaggio al musicista Ten Holt, curato da Oscar Pizzo. Grazie a quella esperienza diretta con i musicisti ho partecipato alla realizzazione de La sonnambula di Bellini al Petruzzelli di Bari con la regia di Giorgio Barberio Corsetti. Avevo disegnato alcune animazioni per essere inserite nella scena, ma partito per Bari con l’intento di fermarmi alcuni giorni, mi sono appassionato al lavoro tanto da restarci un mese per seguire tutte le prove. Inizia così la mia collaborazione con il regista Fabio Cherstich per la realizzazione del progetto Operacamion con il Teatro dell’Opera di Roma, uno spettacolo itinerante dove realizzo scene, costumi e video per Barbiere di Siviglia, Don Giovanni, Rigoletto. Il camion arriva nelle piazze e periferie romane, si apre il container che diventa spazio scenico con proiezioni di animazioni e disegni, cantanti e attori entrano in scena, un’ orchestra di giovani musicisti condotti dal direttore Carlo Donadio suona dal vivo.

Dove ti sta portando?

Fuori dallo studio! Il lavoro di un disegnatore è spesso in solitaria, anche se molte fasi del cinema d’animazione sono condivise col montatore, fotografo, musicista, produttore, la sensazione é quella di essere sempre a fare dei monologhi. Collaborando per il teatro mi sembra di essere finalmente uscito dal mio tavolo-gabbia di lavoro. Il lavoro scenico con cantanti, attori, sarte, attrezzisti, truccatori ha ampliato decisamente la gamma delle possibilità: un attore diventa un disegno o viceversa, una scena tridimensionale e reale prende movimento e dilata improvvisamente gli spazi, un cantante è dipinto di verde e ha una coda di alcuni metri. Soprattutto c’è sempre qualcuno con cui condividere le proprie sensazioni, fatiche, paure e gioie.

Che ci dici dell’esperienza di Danisinni? 

Sono appena tornato da Palermo dove, con Cherstich e altri amici palermitani abbiamo messo in scena La Cenerentola di Rossini nella fattoria di Danisinni, un quartiere di Palermo dove da un paio d’anni mettiamo in scena delle opere liriche in mezzo ad orti, asini, cavalli, capre e un tendone da circo. Cantanti, attori e musicisti si muovono in questo spazio bizzarro. Un’esperienza fantastica dove la realtà che ci circonda é sempre superiore alla fantasia o all’inventiva che abitualmente cerco di mettere nel lavoro. Si é instaurato un clima molto bello con le persone che ci abitano a cominciare da Fra Mauro, la figura centrale che ci ha permesso di realizzare questo progetto e grazie alla determinazione del sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, Francesco Giambrone. Tant’è che si è formato un coro di abitanti del quartiere e altri che vengono da fuori, diretto dal maestro Manlio Messina e non vedo l’ora di riprendere questo progetto l’anno prossimo.

E il cinema?

Il cinema é sempre stato alla base del mio lavoro. Ho sempre amato la comicità del corpo, quella elastica e rocambolesca di Buster Keaton o quella da marionetta impazzita di Totò o Ciccio e Franco. E chiaramente anche la drammaticità del corpo. Avrò disegnato la fuga del Mostro di Dusseldorf decine di volte, e lo rifarei ancora… quel movimento che parte dal primo piano di Peter Lorre con gli occhi sgranati e le mani da rapace, che si gira su stesso e scappa verso il fondo fino a perdersi nei bassifondi della città, è una scena che mi ha sempre affascinato.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Tra poco inizierò con Cherstich l’allestimento dell’opera lirica contemporanea Un romano a Marte di Vittorio Montalti su libretto di Giuliano Compagno per il Teatro dell’Opera di Roma a fine novembre. Sarà un tuffo nel mondo di Ennio Flaiano con tanti interventi video.