Da sempre il tema «pensioni» ha condizionato il dibattito, il confronto (spesso lo scontro) nel paese. Avveniva con intensità diverse negli anni nei quali il tema era principalmente condizionato dal gran numero di persone che si affacciavano all’età pensionabile (peraltro molto flessibile e articolata) con scarsa dote contributiva. Persone che hanno lavorato, sia come autonomi che come dipendenti, nell’Italia del dopoguerra e del boom economico alle quali la politica ha risposto principalmente attraverso la leva della fiscalità generale (e spesso generosa) puntando a tenere bassa l’età pensionabile ed alzare l’importo della pensione a prescindere dalla dote «versata». Era l’Italia della ricostruzione, della industrializzazione, dello spopolamento delle campagne ma anche il paese che nel tempo ha avviato una lunga stagione di opportunità (studio e lavoro) per i figli di quelle persone sostenute ed aiutate anche dal punto di vista previdenziale. Ma era anche l’Italia dove la speranza di vita nel 1959 era di 65 anni, circa 20 anni in meno di oggi.
Scelte politiche appunto che non sempre hanno seguito, come noto, questo criterio soprattutto con la versione radicale del governo Monti nel «penalizzare» le persone, ma anche nella versione più «generosa» dell’attuale governo.
Un’altra considerazione: in Italia abbiamo un sistema di welfare che si fonda su alcuni principi importanti e che i grandi cambiamenti hanno certamente modificato ma non smantellato. Un sistema storicamente mutualistico, solidaristico ed assicurativo che vale quasi 230 miliardi di prestazioni (previdenza ed ammortizzatori in particolare) con altrettanti contributi versati da imprese e lavoratori ma che nel tempo ha visto affiancare a ciò una serie di interventi di natura assistenziale sostenuti dalla fiscalità generale. Credo comunque sia sempre importante salvaguardare questa peculiarità italiana.
La recente innovazione legislativa, Quota 100, va valutata non solo dal punta di vista quantitativo ma anche qualitativo per comprendere come la complessità e la segmentazione della società e del lavoro «accologono» questa opportunità, a partire da quali soggetti, in prevalenza, accedono a questa ulteriore modalità di pensionamento anticipato, quanti di essi sono dipendenti, e tra essi quanti del settore pubblico, così come quanti vengono da una recente esperienza di disoccupazione. Una analisi attenta, insieme all’impatto economico dell’intervento, saranno elementi utili per una valutazione serena e non pregiudiziale che anche il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps svilupperà per avviare una stagione di indicazioni strategiche a sostegno e tutela del lavoro e dell’impresa, della mutualità pubblica e della solidarietà.
*Presidente Consiglio indirizzo e Vigilanza Inps