Il ministero dell’interno sta lì, a due passi. Il Movimento 5 Stelle presenta il reddito di cittadinanza in una sala conferenze del quartiere Monti e la figura di Matteo Salvini, l’inquilino del Viminale, incombe. L’evento pare pensato per lanciare la campagna elettorale per le europee. Il reddito rappresenta il volto rassicurante del M5S.

Che si materializza nella maschera di Lino Banfi. L’impacciato erotomane delle commedie scollacciate nell’immaginario collettivo è ormai diventato il più ecumenico Nonno Libero. È in questa veste che Banfi incassa la nomina a rappresentante dell’Italia nella commissione Unesco. A questo punto, riuscendo a citare in meno di cento secondi almeno due volte la pasta che porta il suo brand, Banfi si propone come modello di meritocrazia all’italiana: «Basta con questi plurilaureati nelle commissioni che sanno tutto di geografia e storia, io porterò un sorriso».

Questi i toni quasi paternalistici verso gli italiani. Che si alternano a quelli minacciosi rivolti all’Europa, soprattutto contro il nemico scelto negli ultimi giorni: la Francia. Alessandro Di Battista, a margine della cerimonia, in un ardito mix di sovranismo e terzomondismo afferma che «le politiche coloniali francesi danneggiano sia gli interessi italiani che quelli africani». Poi, gettandosi sotto i riflettori ancora accesi della cattura-show di Battisti, fornisce la sua lettura della dottrina Mitterrand: «Mi pare che sia un fatto che il presidente francese abbia protetto i terroristi».

SUL PALCO SVETTA il colore azzurro istituzionale. In prima fila, attorno al presidente del consiglio Giuseppe Conte, ci sono i ministri del Movimento 5 Stelle. Il fondatore Beppe Grillo appare sul megaschermo, in un videomessaggio non particolarmente ispirato. Dietro siedono i tanti deputati e senatori, scongelati quando si tratta di fare numero, assieme a qualche consigliere regionale e ad alcuni sindaci, in testa Virginia Raggi. Poi i direttori dei giornali, volti noti della televisione e quelli che all’ufficio accrediti chiamano «opinion leader». Su tutti vigila il gran cerimoniere della strategia comunicativa Rocco Casalino: sempre in piedi, con pochi slanci verso i saluti deferenti degli eletti, qualche momento concesso alla commozione quando in video compare Gianroberto Casaleggio.

MA SI DICEVA DELLO SPETTRO di Salvini e della sudditanza comunicativa e politica del M5S. La smentisce Alessandro Di Battista che, come aveva già fatto la sera prima parlando da «semplice cittadino» all’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari, cita come prova il semplice fatto che il M5S sia riuscito a «costringere politicamente» la Lega a votare il reddito di cittadinanza. Giuseppe Conte probabilmente per la prima volta fa riferimento al modello tedesco del Piano Hartz IV, non proprio riuscitissimo in materia di lotta alla precarietà, e racconta di quando ad Angela Merkel ha chiesto lumi in tema di welfare e politiche del lavoro. Il presidente del Consiglio si sente più forte, ricorda che all’inizio dell’avventura di governo si era presentato agli italiani come «avvocato del popolo» e annuncia di sentirsi «garante di un nuovo patto sociale».

Le coordinate di questo patto non sono molto chiare, seguendo la successione degli interventi. Dapprima, il reddito di cittadinanza viene presentato come strumento che consente di sostenere al meglio le imprese (oltre che i cittadini) e che aiuta a fare incrociare la domanda e l’offerta di lavoro, che si suppone rigogliosa al punto di alimentare le proposte.

L’uomo simbolo di questa impostazione è Mimmo Parisi che è stato richiamato dalla Mississippi University per presiedere l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Parisi dice chiaramente che questo «reddito di cittadinanza» non è una forma di «universal income», essendo condizionata all’accettazione di alcuni obblighi. Poco prima Di Maio aveva mostrato l’eloquente slide col divano sbarrato, che rappresenta le finalità del dispositivo: accompagnare i disoccupati verso il mercato del lavoro. Poi però Di Battista e Davide Casaleggio spiegano che l’automazione cambia il lavoro e sancisce la fine della piena occupazione.

Dopo di loro, con maggiori strumenti di analisi e l’ausilio di qualche grafico, l’economista Pasquale Tridico si sofferma sulla lotta alle disuguaglianze. Lo stesso fa Domenico Fioramonti, sottosegretario con delega all’università, che nei mesi scorsi ha mostrato qualche sofferenza di fronte alle ristrettezze di bilancio per la ricerca. Appena gli passano il microfono saluta il premier Conte con parole che sembrano polemiche: «Giuseppe, finalmente dopo qualche mese riesco a vederti!». Ma non è il giorno dei dubbi e del dissenso.