Cultura

L’inflessibilità del copyright

L’inflessibilità del copyright

CODICI APERTI L’Italia avrebbe dovuto ratificare entro aprile la direttiva europea «Barnier» che liberalizza il diritto d’autore. Ma la legge ancora non prende forma e, di fatto, nessuno prova a fermare il dominio incontrastato della Siae

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 7 maggio 2016

La scelta del rapper italiano Fedez di abbandonare la Siae ha conquistato i titoli dei giornali, ma non ha smosso le acque del diritto d’autore all’italiana. Entro il 10 aprile, ormai un mese fa, anche l’Italia avrebbe dovuto introdurre una nuova legislazione sul diritto d’autore, ratificando la direttiva europea (la cosiddetta «Barnier») approvata già nel 2014 a Bruxelles. Ma la legge ancora non c’è; la delega che assegna al governo il compito di scrivere le nuove norme è stata appena approvata dalla Camera e deve ancora essere calendarizzata al Senato.

La direttiva Barnier imporrebbe la liberalizzazione al mercato del diritto d’autore italiano, il cui valore si aggira sugli ottocento milioni di euro l’anno. «Mercato», per la verità, non è l’espressione giusta, visto che dal 1941 la Società italiana autori ed editori detiene per legge il monopolio sulla raccolta e sulla distribuzione delle royalties su musica, teatro, cinema, tv, letteratura. In pratica, significa che quando una canzone di un autore iscritto viene suonata dal vivo o trasmessa alla radio, solo la Siae può raccogliere i soldi dovuti e a rigirarli all’autore, e a controllare che nessuno evada il sistema. «Il monopolio legale esiste solo in Italia e Austria; da noi, per di più, c’è un’unica società di raccolta dei diritti per tutti i settori artistici», osserva Simone Aliprandi, avvocato e autore di Siae: funzionamento e malfunzionamenti (ed. Ledizioni). E ironizza: «Solo Equitalia dispone di una simile rete di esattori. Sarebbe meglio dividere i compiti, e affidare la riscossione dei diritti ad un’agenzia pubblica».

La scelta di Fedez

Oggi per un autore, sottrarsi al monopolio Siae significa rinunciare del tutto alle royalties. Eppure, secondo una stima del 2009, circa il 60% degli 80.000 autori Siae incassano dai diritti meno dei centocinquanta euro pagati annualmente per l’iscrizione. A soluzione del diffuso malcontento tra gli autori, la direttiva Barnier prevede «la possibilità per i titolari dei diritti di scegliere liberamente il loro organismo di gestione collettiva». Attenzione: non significa necessariamente la fine del monopolio Siae in Italia.

Secondo l’interpretazione del ministro Franceschini, affermata in un’audizione alla Camera a fine marzo, un autore potrà scegliere una società diversa dalla Siae, ma dovrà rivolgersi all’estero. Ecco perché Fedez ha scelto una società straniera, la Soudreef basata a Londra dell’italianissimo Davide D’Atri.
Quella di Fedez, però, non è una soluzione adatta a tutti, sostiene Arianna Tronco, esperta del settore e agente di diversi autori di primo piano. «Competere dall’estero con la rete territoriale della Siae è alquanto complicato. Un autore meno conosciuto di Fedez non può permettersi la stessa strategia. E Soundreef non lo prenderebbe nemmeno». Non a caso, anche in altri paesi il mercato dei diritti è spesso dominato da poche società pur in assenza di monopolio legale. «La liberalizzazione è auspicabile ma con regole chiare – spiega Tronco -. I soggetti che affiancheranno la Siae dovranno garantire la stessa copertura, altrimenti vincerà il far west a danno degli autori meno affermati. Liberalizzare da sé non basta: serve una riforma complessiva del diritto d’autore».

Licenze duttili

Soprattutto con la diffusione della fruizione online di video e musica, molti iscritti Siae sarebbero interessati a una gestione più flessibile dei propri diritti. Per un autore emergente o apprezzato nei circuiti indipendenti, aumentare la circolazione delle proprie opere, magari rinunciando ai diritti commerciali, può rappresentare un investimento che ripaga in un secondo momento. Ma la Siae non lo consente: chi si iscrive le delega ogni decisione su tariffe e royalties.
Anche su questo punto, la Siae è in netta collisione con la direttiva Barnier, che impone alle società di gestione dei diritti di garantire «la flessibilità necessaria per concedere, il più rapidamente possibile, licenze personalizzate per servizi online innovativi».
Il riferimento va alle licenze «Creative Commons», molto diffuse per la diffusione di contenuti digitali via internet. Con queste licenze, gli autori possono autorizzare l’uso gratuito delle proprie opere, magari fissando clausole sulla corretta attribuzione di paternità o sull’uso commerciale. Un autore Siae oggi non può farne uso. In Germania, dove il monopolio legale è assente, le usano abitualmente i ventimila autori riuniti nella società C3S, a dimostrazione che si tratta di un modello sostenibile.

Una società opaca

Nonostante l’insoddisfazione diffusa, cambiare la società da dentro è difficile. La partecipazione degli autori all’organizzazione della società è fortemente limitata. Assemblee e elezioni degli organi statutari si svolgono a Roma con cadenza e modalità assai poco democratiche. L’ultima assemblea si è tenuta nel 2013 e alle ultime elezioni degli organi statutari hanno partecipato meno dell’1% degli iscritti. Il cui voto, tra l’altro, è proporzionale ai proventi riscossi dalla Siae. Perciò, le rockstar che annualmente incassano milioni di euro stabiliscono le condizioni anche per la stragrande maggioranza di autori minori, che tuttavia pagano la stessa quota di iscrizione. Anche il controllo sull’effettiva esecuzione delle opere è piuttosto oscura e tende a favorire gli autori più noti: è molto più facile monitorare l’esecuzione delle opere su emittenti nazionali e festival affermati, piuttosto che nei circuiti «off». La direttiva Barnier, invece, imporrà regole più stringenti, cui prima o poi lo statuto Siae dovrà adeguarsi: assemblee con cadenza almeno annuale, partecipazione garantita anche con strumenti telematici, restrizioni eque al peso dei voti, trasparenza contro i conflitti di interessi, che in una società di autori sono quasi inevitabili.
L’attuale presidente della Siae, ad esempio, è Filippo Sugar, a capo dell’etichetta Sugar Music. Sulla Siae la pensava come Fedez: «nessuno può impedire di farci rappresentare da un’altra società» disse a Repubblica nel 2010. Nel frattempo, deve aver cambiato idea.

Piattaforme alternative

Accanto alla Siae che resiste, c’è anche chi propone alternative reali e spinge per una rapida ratifica della Barnier. Mentre Soundreef ha scelto l’Inghilterra, la Patamu fondata da Adriano Bonforti spera nella rottura del monopolio Siae. È una piattaforma anti-plagio e offre servizi a chi non voglia iscriversi alla Siae. «Siamo l’unico potenziale competitor italiano della Siae, ma non possiamo raccogliere royalty. Paradossalmente, veniamo penalizzati proprio perché a differenza di Soundreef abbiamo puntato sull’Italia», racconta. «Oggi rappresentiamo 9.300 autori, ma la politica non ha ritenuto utile consultarci. Ministro e authority antitrust non hanno risposto alle nostre sollecitazioni. Abbiamo deciso che l’unico modo di essere interlocutori in Italia è iniziare a fare intermediazione, guardando direttamente alle direttive europee». Nel frattempo, Bonforti ha pubblicato una petizione su Change.org per chiedere la fine del monopolio Siae, collezionando diciannovemila adesioni.
Ma anche tra gli iscritti Siae qualcosa si muove, nella speranza che la direttiva Barnier smuova le acque. La prima a gettare il sasso nello stagno è stata Tronco, che in febbraio ha convocato politici e addetti ai lavori a febbraio al Teatro dell’Angelo a Roma.

In aprile, la community pro-creative commons Ctrl ha riunito artisti, avvocati ed emittenti indipendenti a «Tutta un’altra musica», evento-assemblea all’Angelo Mai di Roma. Ma i risultati di questo lobbying dal basso ancora non si vedono. Il passaggio al Senato della legge delega rischia essere una mera «timbratura» del disegno di legge. Di contenuti veri e propri si parlerà solo in Consiglio dei Ministri.
Paradossalmente, un governo così votato alle liberalizzazioni rischia di confermare un monopolio laddove esso è più artificioso: nella produzione immateriale, com’è quella artistica, il «prodotto» è riproducibile all’infinito a costi decrescenti. Sarebbe dunque un peccato, se la questione passasse inosservata. Il nodo del diritto d’autore, infatti, non riguarda solo gli artisti. Rompere il monopolio Siae potrebbe permettere una circolazione più facile ed economica di opere artistiche anche al di fuori dei circuiti commerciali, a tutto vantaggio dei fruitori. Nell’era dei social network, d’altronde, la distinzione tra autori e fruitori tende a sfumare. Anche ai rispettivi diritti potrebbe succedere la stessa cosa

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