L’«indispensabile chiarimento politico» che Conte promuoverà (alla camera prima e al senato poi) da lunedì prossimo, somiglia molto al «netto chiarimento» che promosse Romano Prodi nell’ottobre del 1998. Finì che perse il governo. Il comunicato del Quirinale che ieri ha dato conto del colloquio del presidente della Repubblica con il presidente del Consiglio somiglia molto a quello che, in circostanze analoghe, nel 1998 informò sull’esito dell’incontro tra Oscar Luigi Scalfaro e Prodi. È così per la liturgia delle prassi, ma anche perché le similitudini tra quella storia e quella di oggi ci sono tutte. Non porta fortuna a Conte la previsione che proprio Prodi ha voluto fare ieri: «Potrebbe anche andargli bene».

All’epoca, tra chi spingeva per la conta – perdente – c’era chi fu chiamato a sostituire Prodi, D’Alema. E ieri è stato molto notato il discorso di Dario Franceschini che ha fatto una lezione di diritto costituzionale spiegando che «siamo in un sistema parlamentare in cui le maggioranze di governo si cercano in parlamento, apertamente, alla luce del sole e senza vergognarsene».

La caccia ai “responsabili” è cominciata da tempo. L’inconveniente è che i volenterosi, ai quali si è rivolto anche Di Maio, non possono aspettare di vedere come si risolverà il dilemma tra Conte tre e governo istituzionale per venire allo scoperto. Serve che si costituiscano in gruppo prima, per evitare quella maggioranza raccogliticcia che anche Conte, dopo aver parlato mercoledì con Mattarella, ha dovuto escludere.

A tutto questo servono i quattro-cinque giorni che ancora mancano al voto di fiducia sulla mozione che sarà presentata lunedì prossimo alla camera. Anche in questo caso l’iter è identico a quello che fu fatale a Prodi. Tranne che nel ’98 tra la decisione di Rifondazione comunista di annunciare la fine dell’appoggio (esterno) al governo e le comunicazioni di Prodi alla camera passarono tre giorni (4-7 ottobre) e non cinque come sarà adesso nel caso delle dimissioni delle ministre Iv. Ma la tempistica si riallinea considerando che allora ci furono tre giorni di discussione parlamentare (7-9 ottobre) prima del voto che segnò la caduta di Prodi (per un voto).

Anche questa volta la fiducia sarà tecnicamente posta su una mozione di maggioranza che chiederà di approvare le comunicazioni del presidente del Consiglio. Conte nell’accogliere i responsabili, anche solo per scaramanzia, non userà le formule prodiane, «una nuova e più coesa forma di maggioranza», «la stessa ma nuova», ma il tentativo è identico. E da una nuova maggioranza nascerà, nel caso, un nuovo governo, un Conte tre. Il comunicato dei 5 Stelle che ieri spiegava come la soluzione è ancora quella del governo Conte due e diceva no al Conte tre si giustifica solo con la scarsa conoscenza della Costituzione. Nuova maggioranza, nuovi ministri, nel caso sarà inevitabilmente un nuovo governo.

E servirà la formazione di un nuovo gruppo. Visto il più rigido regolamento del senato, e le strade per aggirarlo, le possibilità sono ristrette. Ma tra Maie (eletti all’estero), Udc, Alternativa popolare e Centristi per l’Europa le possibilità di pescare una lista che si è già presentata alle elezioni del 2018 ci sono. Alla camera, dove si partirà (un bene per Conte, che in caso di fiducia iniziale avrebbe dovuto cominciare dal senato) c’è la componente in espansione di Tabacci. A conferma di una perenne centralità della sinistra democristiana in queste situazioni di crisi-non crisi. A proposito del parallelo con il 1998, è curioso che fu proprio allora che venne fuori (contro Prodi e per D’Alema) il gruppo dell’Udr di Cossiga. Lo guidava Mastella.