La vicenda dei due fucilieri di marina accusati di duplice omicidio e trattenuti in India per il processo «non è solo un affare tra governi». E dunque non è esattamente un regalo di natale per il governo Renzi quello che arriva da New Delhi, dove il portavoce della ministra degli esteri indiana rispondendo all’agenzia Ansa ha precisato che la sorte di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone «è un tema all’esame della magistratura indiana» che «deve esprimersi prima che si possa andare avanti». E, ha sottolineato il portavoce Syed Akbaruddin, «la giustizia indiana è libera, trasparente e imparziale».

Parole nette che possono persino leggersi come una replica all’uscita del presidente della Repubblica Napolitano, che il 22 dicembre scorso aveva detto che l’India stava dimostrando «scarsa volontà politica di dare una soluzione equa» al problema dei fucilieri, aggiungendo che «il malfunzionamento della giustizia non è solo un problema italiano». Ma il portavoce indiano interviene soprattutto dopo che la ministra degli esteri aveva confermato davanti al parlamento l’esistenza di una base di trattativa tra il governo italiano e quello indiano. Aggiungendo però che «il caso è sotto il giudizio dell’onorevole corte suprema», la corte federale di New Delhi che è subentrata al tribunale del Kerala.
«Il governo indiano può avere un punto di vista e considerare varie opzioni – ha detto all’Ansa Akbaruddin – ma fondamentalmente questa questione è in mano alla giustizia e dovrà andare attraverso un percorso legale ed arrivare a una decisione della magistratura affinché si possa andare avanti». E per questo secondo il portavoce «è difficile spiegare a che punto siamo» nei rapporti tra governi: «la giustizia indiana si formerà un’opinione indipendente su quanto è avvenuto».

Precisazioni e premesse non tra le migliori per l’Italia, visto che appena pochi giorni fa era stata proprio la Corte suprema a rifiutare un prolungamento del permesso di Latorre, che è in Italia da oltre tre mesi per curarsi dai postumi di un attacco ischemico e che dovrà tornare in India sulla base degli accordi sottoscritti il prossimo 13 gennaio. Subito prima di natale il presidente del Consiglio Matteo Renzi, uscendo da un vertice con il presidente Napolitano dedicato all’argomento, aveva assicurato che «non passa giorno senza che io pensi a questa vicenda e cerchi di risolverla con i canali della diplomazia». La ragione è chiara, dal momento che si avvicina la data della ripartenza di Latorre ed è facilmente prevedibile l’imbarazzo e la difficoltà del governo italiano – tantopiù dopo il precedente pasticcio del governo Monti che provò a rimangiarsi l’impegno al termine di uno dei tanti precedenti permessi concessi dai giudici indiani. Renzi a metà gennaio andrà incontro alle sue giornate più impegnative, proprio il 13 terrà il discorso di bilancio della presidenza europea a Strasburgo, il giorno dopo potrebbero arrivare le annunciate dimissioni di Napolitano che apriranno il dossier della successione al Colle. Trovare per tempo e in anticipo una soluzione al caso dei marò aiuterebbe.
Ma dalla diplomazia italiana non filtrano ragioni di ottimismo. L’ambasciatore a New Delhi Daniele Mancini è da una settimana in Italia per consultazioni. Una mossa decisa come reazione al rifiuto del prolungamento del permesso per Latorre, che potrebbe però servire a riaprire uno spiraglio se l’ambasciatore tornasse in India con le scuse ufficiali del governo italiano e la disponibilità a risarcire i familiari dei due pescatori rimasti uccisi nei fatti che nel febbraio 2012 hanno coinvolto la petroliere Enrica Lexie, a bordo della quale erano imbarcati Girone e Latorre, e il peschereccio St. Anthony. La proposta italiana è allo studio di un comitato di esperti indiani. In ogni caso – è il senso delle dichiarazioni da New Delhi – non potrà essere risolutiva senza il consenso della non velocissima Corte suprema. L’alternativa, il ricorso a un tribunale internazionale, non può dirsi rapida, ma questo perché quattro governi italiani in tre anni non sono riusciti a percorrerla seriamente.