«Conoscevo alcuni passaggi della vita di Emilio, soprattutto degli ultimi anni, ma leggerne la storia nella sua interezza, seppur descritta per flash, è stato tutt’altro: una sorpresa, un pugno nello stomaco, una boccata di aria fresca, un’occasione per riflettere. Sembra un romanzo, complicato e avvincente».

INIZIA COSÌ la prefazione di Livio Pepino al nuovo libro di Chiara Sasso A Testa Alta (Intra Moenia, pp. 133, euro 10), dedicato alla vita di Emilio Scalzo, conosciuto in tutta la valle per aver praticato i mercati come pescivendolo, e successivamente come militante Notav. Chiara ed Emilio si conoscevano da sempre, abitando come raccontano a centosessanta passi l’uno dall’altro, eppure non c’era mai stato il tempo di sedersi con calma e provare a raccontarsi. Il libro inizia con una data, il 5 agosto, una giornata luminosa: il luogo è il giardino della casa di Emilio, dove lui è costretto a rimanere perché agli arresti domiciliari.

Emilio Scalzo

Nel racconto Emilio ci tiene a precisare che in tutta la sua vita non aveva mai preso neppure una multa, ha sempre lavorato duro, pagato le tasse, costruito una bella famiglia con la moglie Marinella e la figlia Vanessa. Una vita specchiata, appunto a Testa Alta. Poi in età adulta, dopo i fatti di Venaus (2005) si avvicina al movimento Notav, diventa attivista «infaticabile» come viene descritto e colleziona una serie di denunce. Oggi a 66 anni si trova agli arresti domiciliari perché colpevole di aver violato alcuni dei dieci divieti di dimora in alcuni comuni della valle. Cinque confinanti con l’area del cantiere e quindi legati alla lotta Notav e altrettanti in alta valle, al confine francese, legati al suo impegno in favore dei migranti.

EMILIO, CONSAPEVOLE di aver un cognome «pesante», in tutto il libro precisa la diversità dei suoi guai giudiziari da quelli che hanno avuto i fratelli. Gli Scalzo erano conosciuti per fatti di cronaca nera, otto fratelli, molti dei quali hanno conosciuto la «via dell’aceto» come viene chiamata la malavita.

Emilio nasce a San Cataldo, in Sicilia, e a tredici anni, nel 1968, si trova in val di Susa pronto a costruirsi una vita, fra gang giovanili e la voglia di trovare una sua strada. Un prete lo avvia verso la boxe, in seguito diventerà un promettente calciatore. È importante un passaggio descritto da Livio Pepino sui misteri dell’essere umano. «Ho fatto il magistrato per oltre 40 anni occupandomi di delitti e dei loro autori. Di barbari, marginali, ribelli. Ma c’è una cosa che non ho capito, pur avendo cercato di farlo, scegliendo anche di lavorare, per una parte della mia vita professionale, in un tribunale per i minorenni (dove si toccano con mano i percorsi di formazione delle persone). La domanda, inquietante, è: perché si ruba, si rapina, si uccide, si trafficano sostanze e persone? Perché qualcuno delinque e altri no, pur partendo da condizioni simili? Ancora non ho trovato risposte appaganti. Ho sempre pensato – e penso tuttora – che l’ambiente, il contesto di vita giochino un ruolo fondamentale. Ma non basta. Non c’è, non può esserci solo questo. Una cosa però ho capito: che il confine, il discrimine tra un campo e quello opposto è spesso sottile, esile, quasi impercettibile».

Ebbene, con tutto questo ha molto a che fare la storia di Emilio, unico «salvato» fra i fratelli «sommersi», con una diversità orgogliosamente rivendicata ma senza tagliare i ponti («Faccio difficoltà a ricordare tutte le carceri dove sono stato per trovare i miei fratelli con mia madre, in mezza Italia. Andavo a trovarli perché avevano bisogno») e, anzi, rimproverando al padre di «aver buttato fuori casa» i figli, «invece di tenerseli vicini», una volta scoperto che avevano intrapreso strade sbagliate.

LA PRIMA PARTE del libro racconta la vita di Emilio, della sua famiglia e tutte le sue disavventure, la seconda l’incontro con il movimento Notav. Oggetto di immedesimazione totale, ragione di vita, fino a fargli rivendicare come un onore le denunce riportate e i provvedimenti cautelari subiti per fatti connessi con la difesa della valle: «La mia – dice al fratello Pino – non è una carcerazione come la tua. Tu eri un gigante tra i delinquenti. Io sono una montagna tra gli onesti». Spiega Emilio: «Credo di aver dato molto al Movimento, ma ho ricevuto molto di più, mille volte di più. Non solo ascoltando e studiando durante le assemblee, i convegni che si fanno, ma soprattutto andando in giro per il mondo. Incontrando persone e situazioni ti si apre la mente. Per il mio modo un po’ guascone di pormi divento amico di tutti, soprattutto dei ragazzi che si stupiscono di vedere un anziano gagliardo. Con loro non puoi bluffare».

C’è, in queste parole, tutto il Movimento: una grande occasione di presa di coscienza, un contenitore di socialità, di amicizia, di condivisione, di crescita, di accoglienza. Un veicolo di trasformazione quasi antropologica. La postfazione è di Nicoletta Dosio che analizza passo a passo tutta questa incredibile vita in una incredibile valle che si conferma come uno dei pochi territori capaci di vivere e mantenere attiva un’opposizione popolare con trent’anni di storia.