Laura (Seidi Haarla), studentessa finlandese di archeologia, accetta la proposta di una sofisticata collega moscovita e decide di partire alla volta della remota regione di Mumarks per osservare dei pietroglifi (disegni simbolici incisi nella pietra). Al momento della partenza, l’amica la pianta in asso. Rimasta sola, Laura deve condividere lo scompartimento con il giovane proletario Loykha (Yuri Borisov) anche lui diretto a Mumarsk, ma per lavorare in una miniera.
Di che parla Scompartinemento n°6? Ovviamente di una direzione. Quella del treno è la più evidente. Ma il film cerca da subito di scompaginare la mappa. Il punto di partenza è Mosca. Ma la serata a cui partecipa Laura all’inizio del film è piena di figure della scena cinematografica pietroburghese, come se si svolgesse nell’antica capitale degli zar. Nel romanzo dell’autrice finlandese Rosa Liksom, a cui il film si ispira (e che, in occasione dell’uscita in sala, è stato ripubblicato per i tipi di Iperborea), i protagonisti scivolano lentamente verso est, sul tracciato della transiberiana che da Mosca porta a Vladivostok.

QUI INVECE il treno punta verso Nord, in direzione di Karilia. Il film si dà solo due giorni per incrociare le storie di Laura e di Loykha. Questi appaiono in un primo momento come due linee testardamente parallele; ponendole una accanto all’altra, Scompartimento n°6 suggerisce al tempo stesso che, in un punto non molto lontano, accadrà loro qualcosa di assolutamente non-euclideo. Tappa dopo tappa, Laura e il suo compagno imposto imparano a parlarsi, a conoscersi, ad avvicinarsi.
Non è la sola evidenza con la quale il film gioca. Da sempre, il treno è al tempo stesso un oggetto simbolico del cinema in quanto tale. Chi non ricorda i primi minuti de L’Amante di Clarence Brown ? Dove l’operaia interpretata da Joan Crawford, scontenta della sua esistenza, restia ad accasarsi, osserva il lento passaggio di un treno in città e, dalle finestre degli scompartimenti, che come uno schermo proiettano le ombre dei passeggeri, sogna un mondo fatto di intrighi e di passione. Quel mondo è il cinema, e la sua romantica promessa d’avventura. Ma il treno è, in Russia, anche un oggetto assolutamente letterario. Nel bagaglio dello spettatore ci sono sempre le prime pagine dell’Idiota e con esse quella sensazione tutta russa che il Paese sia al tempo stesso sterminato e intimo, e che due perfetti sconosciuti, dopo qualche battuta, scoprono sempre di essere entrambi al corrente degli affari dell’altro.

OGNI DIREZIONE è una linea. E ogni linea orientata simboleggia il tempo. Il presente del film è arbitrariamente posto in un punto indeterminato degli anni novanta. Ci si può chiedere perché. Il libro, per esempio, era ambientato negli anni ottanta – uno degli amici della protagonista si faceva ricoverare in un ospedale psichiatrico (allusione alla Camera n°6 di Cechov) per sfuggire alla guerra in Afganistan. Che il film di Juho Kuosmanen si svolga negli anni novanta, lo si capisce da alcuni dettagli: nel party all’inizio, c’è un cognac che ogni russo associa a quel periodo, e tra le conversazioni c’è chi evoca il film Titanic. Sul treno poi, c’è una piccola collezione di modernariato (la cabina del telefono, la videocamera VHS…). La scelta non è casuale. Ritornare agli anni di Elsine in Russia vuol dire evocare un periodo che tutta una generazione ricorda come una parentesi felice ma effimera tra l’URSS e la «democratura» Putiniana.
Scompartimento n°6 non è un film direttamente politico. Ed è senza dubbio molto meno simbolico del romanzo di Rosa Liksom. Così come i petroglifi, che alla fine si rivelano fuffa, i simboli sono un macguffin. Il solo obiettivo del film è la relazione tra i due, che imbarca lo spettatore e lo trasporta per tutto il tragitto. Scompartimento n°6 riposa tutto su dei dialoghi, capaci di far esistere in ogni momento i personaggi, scolpendo un ritratto umano di rara efficacia. Eppure, è difficile non vedere in questo incontro, nel viaggio, nel movimento che i personaggi compiono uscendo dal proprio guscio e imparando a conoscersi, la descrizione d’un certo destino russo, d’una libertà che non è data se non per brevi istanti, tra una partenza e un arrivo.