Il sintomo obiettore è espressione coniata dalla psicoanalista francese Colette Soler a sottolineare la valenza politica del sintomo psichico o psicogeno, che agisce come elemento di disturbo non solo per il soggetto che ne soffre ma anche per un certo ordine del discorso, nella fattispecie quello che Lacan ha denominato discorso del Mâitre, del padrone.

L’espressione è quanto mai appropriata per indicare i sintomi di cui soffrono i tanti «pazienti» di cui racconta Stefanie Linden nella sua appassionante ricerca, La guerra dei nervi Soldati traumatizzati sul fronte occidentale, 1914/1918 (prefazione di Antonio Gibelli, Guida, pp. 337, € 20,00): affetti da quelli che la psichiatria dell’epoca chiamava disturbi funzionali, ovvero sintomi somatici, nella maggior parte dei casi apparentemente neurologici, i soldati non accusavano lesioni organiche. I sintomi compromettevano però le loro funzioni motorie, percettive, cognitive tanto da rendere impossibile – almeno temporaneamente, a volte definitivamente – il loro servizio al fronte. Obiezione, ma inconscia, al «buon» funzionamento dell’apparato bellico.

Uomini spesso giovanissimi, inglesi, tedeschi, francesi, australiani, si ritrovarono letteralmente paralizzati, ammutoliti, accecati dal terrore e dalla brutalità delle esperienze vissute al fronte. Il lavoro di Linden, condotto negli archivi di alcuni dei maggiori centri europei specializzati nel trattamento delle nevrosi di guerra, principalmente il National Hospital for the Paralysed and Epileptic di Queen Square e l’ospedale della Charité di Jena, prova a ricostruirne le storie a partire dalle cartelle cliniche che riportano non solo le annotazioni dei medici curanti ma, a volte, anche le testimonianze dei ricoverati.

Linden esordisce rievocando le famose lezioni del martedì che Jean-Martin Charcot teneva all’ospedale della Salpêtrière in piena belle époque parigina, in cui le ricoverate del reparto istero-epilettiche diretto dal grande neurologo esibivano tutto il corteo della sintomatologia isterica definita dal maestro. Sostenitore dell’eziologia neurologica dell’isteria Charcot ne affermava anche l’indipendenza dal genere sessuale: sebbene più frequente nelle donne, l’isteria era rinvenibile, più o meno con gli stessi sintomi, anche nel sesso maschile. Con qualche eccezione: sarebbe stato difficile trovare «un corazziere prussiano che soffriva di isteria». Se avesse potuto visitare la Charité di Jena durante la prima guerra mondiale Charcot avrebbe dovuto ricredersi.

I soldati tedeschi (come quelli inglesi del resto) manifestavano tutti i sintomi all’epoca ricondotti alla diagnosi di isteria: convulsioni, paralisi, tremori, anestesie, cecità, sordità, mutismo, persino il corrispettivo della gravidanza isterica, denominato dalla letteratura francese le gros ventre de la guerre. Se i medici, tedeschi quanto britannici, accettavano di diagnosticare come isterici i soldati semplici, preferivano generalmente riservare ai gradi superiori la più dignitosa diagnosi di nevrastenia, a indicare come il significante isteria fosse ancora connotato da un pregiudizio negativo, legato allo spettro di una temuta «femminilizzazione» del soggetto.

Isterici, i militari traumatizzati della prima guerra mondiale lo erano non soltanto in virtù dell’inquadramento diagnostico della psichiatria di inizio Novecento ma anche nell’accezione contemporanea del termine: freudiana prima, lacaniana/foucaultiana poi: lo erano perché il loro malessere aveva l’effetto di destabilizzare il potere/sapere medico, come già era accaduto, in maniera forse più eclatante, con le ricoverate della Salpêtrière. Linden sottolinea lo sconcerto dei medici di fronte a sintomi «inspiegabili»: a cosa erano dovuti? Trauma psichico, lesione funzionale, predisposizione ereditaria? e come trattarli? Elettroterapia, suggestione, persuasione, isolamento?

A qualcuno bastava il riposo per guarire, altri rispondevano alla suggestione, alcuni cedevano solo al trattamento faradico. I resoconti delle cure sono particolarmente interessanti se letti con lente psicoanalitica: Albert W., durante la visita, mentre è perfettamente lucido e fissa il suo medico, ha uno spasmo alla mandibola simile a una risata soffocata; Franz B. «quando il medico dice: “ora il paziente ha una crisi”, risponde: “no, questa non è ancora quella vera”»… con una obiezione che investe, anche, il potere psichiatrico.