Dopo una campagna elettorale partita in sordina e accesasi all’ultimo, il momento della verità è finalmente arrivato: i cittadini tedeschi sono chiamati a decidere il futuro del loro Paese. E anche dell’Europa. Sulla Germania, oggi, sono puntati gli occhi di tutte le cancellerie del Vecchio continente, e non solo: anche in Usa e in Cina interesserà sapere quale sarà il corso del prossimo governo di Berlino nell’affrontare la crisi economico-finanziaria.

Una cosa è certa: dal voto di oggi non è lecito aspettarsi nessuna svolta a sinistra. Con ogni probabilità, la democristiana Angela Merkel continuerà a guidare l’esecutivo, grazie a un ottimo risultato del suo partito (Cdu-Csu). La maggior parte dei sondaggi accreditano ai conservatori almeno il 40% dei suffragi, che significherebbe un aumento di 6 punti rispetto alla precedente tornata elettorale del 2009. E il ritorno a percentuali che sembravano ormai appartenere all’irripetibile passato di Konrad Adenauer e di Helmut Kohl.
La vera posta in gioco è il ruolo di partner minore in un gabinetto a guida Merkel. Non solo per calcoli numerici, ma anche e soprattutto per ragioni politiche. Stando alla matematica, infatti, potrebbe anche darsi la possibilità che stasera emerga una maggioranza di sinistra composta dal Partito socialdemocratico (Spd), Verdi e Linke. Il problema è che i dirigenti della Spd – in testa il candidato cancelliere Peer Steinbrück e il segretario Sigmar Gabriel – hanno ripetutamente escluso ogni collaborazione con il partito social-comunista guidato brillantemente in questa campagna elettorale da Gregor Gysi.
Salvo clamorosi e imprevedibili cambiamenti di linea, dunque, anche in presenza di una maggioranza numerica «links der Mitte», e cioè «a sinistra del centro» come si dice qua in Germania, i socialdemocratici preferiranno intavolare una trattativa con Merkel per formare una grosse Koalition. Il risultato che stasera si attendono Steinbrück e compagni è intorno al 27%: se dovessero scendere sotto il 25, significherebbe un flop, se raggiungessero il 30 potrebbero celebrarlo come un piccolo trionfo. La base di partenza è un misero 23% raccolto nel 2009, dopo una legislatura di governo insieme alla Cdu-Csu. E cioè, il loro possibile nuovo partner da stasera per i prossimi quattro anni.

A contendere alla Spd il posto di socio della cancelliera Merkel ci sono i liberali della Fdp, alleati dei democristiani nel governo federale uscente. Il partito condotto dallo scialbo capolista Rainer Brüderle lotta per la sopravvivenza: rischia seriamente – stando ai sondaggi – di restare fuori dal prossimo Bundestag. Per entrarci dovrà sudare fino all’ultima scheda: l’agognato 5% che vale il superamento dello sbarramento è, guardando le inchieste di opinione, il loro massimo risultato possibile. Lo stato maggiore del partito confida nell’aiuto di elettori democristiani che decidano di sacrificare un voto alla Cdu per aiutare il tradizionale alleato a non scomparire dalla scena ed evitare «il pericolo di un governo Spd-Linke-Verdi». L’incubo della Germania di centro-destra e, purtroppo, un’utopia destinata a non realizzarsi chissà ancora per quanto per la parte più progressista del Paese.

Il cambiamento maggiore che le urne di oggi possono produrre si chiama, dunque, grosse Koalition. La cancelliera uscente (e in pectore) Merkel ha voluto ribadire, ieri nell’ultimissimo comizio a Berlino, la sua linea sulla gestione della crisi: «In Europa non ci saranno mai aiuti senza controprestazioni da parte degli stati che li ricevono, e non verranno mai introdotti gli eurobond o garanzie comuni per i debiti pubblici». Certamente un messaggio al futuro possibile alleato socialdemocratico, ma soprattutto parole rivolte all’elettorato conservatore più sensibile alle sirene del nuovo partito euroscettico Alternative für Deutschland (AfD): «Di me potete continuare a fidarvi, i vostri risparmi sono al sicuro».

Fuori dai giochi per il prossimo governo sono quasi certamente sia i Grünen che la Linke. Gli ecologisti vanno incontro a un risultato deludente, dovuto a errori strategici e alle polemiche dell’ultima settimana intorno alle posizioni del partito sulla pedofilia all’inizio degli anni ’80: difficilmente otterranno più del 9%, che significherebbe un arretramento di quasi due punti dal 2009. Su percentuali simili è attestata la Linke, che avrebbe, tuttavia, ragioni di gridare al successo: un anno fa i sondaggi pronosticavano la sua scomparsa.