Il fumetto dei supereroi è in una fase di crisi. Tanto più grave perché la crisi è determinata principalmente dalle strategie di rilancio. La crisi ha un nome: “reboot”. “Reboot” è il ripartire dall’inizio per raccontare un personaggio come se fosse la prima volta che se ne parla senza essere condizionati dalle narrazioni precedenti. In particolare è una tecnica che al cinema ha dato ottimi risultati: pensiamo al Batman di Christopher Nolan o a The Amazing Spider-Man di Mark Webb che si è brillantemente scrollato di dosso la pesante eredità di Sam Raimi. Con il medesimo stratagemma si è pensato di risolvere anche i problemi derivati dall’accumulo non sempre razionale di storie, personaggi, svolte narrative delle serie a fumetti. Ecco ad esempio che la testata Amazing Spider-Man dopo il numero 600 (pubblicato in Italia il 29 agosto da Panini) riparte come Superior Spider-Man con un numero 1 che vede Peter Parker (apparentemente?) morto all’interno del corpo del Dottor Octopus dopo che questo è riuscito ad effettuare una scambio di mente col suo arcinemico e si prepara ad una nuova carriera da supereroe nel corpo di Spider-Man. Le risposte della redazione alle perplessità sollevate dai fan è stata sventolare le vendite del nuovo numero 1. Ovviamente senza riflettere che al di là del successo di un singolo numero (che viene acquistato anche per meri motivi collezionistici) la fedeltà (o meno) ad una serie la si ottiene anche con una intelligente perpetuazione del personaggio che deve – gattopardescamente – mutare in continuazione continuando ad essere coerente con se stesso.

Se possibile di peggio è accaduto a Batman. Da uno scrittore del calibro di Grant Morrison è stato fatto morire per mano del cattivo di proporzioni cosmiche Darkseid nel ciclo Crisi finale. La morte di Bruce Wayne porta alla Battaglia per il mantello dove i vari Robin si confrontano per capire chi sia il più degno ad ereditare la missione di Bruce Wayne. Alla fine è Dick Grayson, il primo Robin, a deporre i panni di Nightwing (figura creata dopo l’abbandono del mentore) per vestire quelli di Batman, affiancato nelle vesti di Robin dal figlio di Bruce e Talia al’Ghul: Damian. Nonostante il profondo trauma narrativo, ben presto il ritmo si assesta su ottimi livelli con un Batman più scanzonato che conduce un gustoso gioco “buddy-buddy” con Damian, ed il ritorno di Bruce (non morto ma scagliato in un’altra dimensione temporale) invece di rimettere tutto in discussione lo giustifica lasciando a Dick il compito di difensore di Gotham mentre egli stesso fonda la Batman Inc. una società che recluta vigilanti in costume al fine di garantire l’ordine mondiale.

Questa complessa architettura narrativa costruita nell’arco di circa 4 anni nel 2012 viene improvvisamente stravolta: la serie riparte col n. 1 (in Italia pubblicato da Lion in maggio), Dick riprende i panni di Nightwing ed un ringiovanito Bruce Wayne riprende la sua crociata a Gotham assieme al figlio. Poteva durare? Dopo solo 12 numeri la DC Comics sente l’esigenza di un nuovo reboot propinando ai lettori un albo con numerazione doppia (in Italia il n. 13 è contemporaneamente il n. 0) dove si riparte a narrare di nuovo le origini del personaggio.

In tutto questo continuo ripartire il mantenimento di una pur minima coerenza narrativa (prevista invece all’epoca di Morrison, nonostante tutti gli stravolgimenti) è pregiudicato.

Anche nel medium videoludico iniziamo ad assistere ai reboot perché siamo in presenza di serie ormai consolidate che nella loro forma sembrano aver ormai esaurito il carburante. Ecco allora il Tomb Raider di Crystal Dynamics o il DmC: Devil May Cry di Ninja Theory che rileggono in modo intelligentemente irrispettoso le rispettive saghe di riferimento. Batman: Arkham Origins, che si inserisce nel solco videoludico di quel capolavoro che è stato Batman: Arkham Asylum di Rocksteady, propriamente non è neppure un reboot, ma piuttosto un prequel che narra le vicende antecedenti sia al primo citato capitolo, sia al secondo: Batman: Arkham City. Lo fa, orfano dello sviluppatore originale, grazie ad un team interno di Warner Bros. Games, ampliando la già considerevole mappa a disposizione del giocatore in Arkham City e in ciò mostrando di non aver capito gli errori compiuti nel secondo capitolo. In Arkham Origins impersoniamo un Bruce Wayne più giovane che percorre le strade steampunk di Gotham City cercando di catturare Maschera Nera mentre quest’ultimo gli scatena contro 10 supervillain desiderosi d’intascare la taglia che ha messo sulla nostra testa. Ovviamente ci sono anche stavolta gli enigmi dell’Enigmista da risolvere e numerose sub-quest e sfide ambientali da risolvere, senza contare che Gotham sembra un’immensa Arkham City, percorsa esclusivamente da criminali desiderosi di prenderci a legnate. E allora il gameplay di Arkham Origins ricorda fin troppo Knightfall, la prima parte della saga (pubblicata tra il 1993 ed il 1995) che vede Batman impegnato ad arginare muscolarmente l’esplosione di criminalità a Gotham, scatenata da Bane al fine d’indebolirlo ed alla fine distruggerlo mentre un giovanissimo Tim Drake, non ancora terza incarnazione di Robin, tenta di farlo rinsavire ricordandogli le sue doti investigative. In Arkham Origins non è che non ci sia la modalità detective, ma è quasi ininfluente l’utilizzarla mentre in Arkham Asylum era una risorsa fondamentale. Ecco, alla fine Arkham Origins è un – sia pur buono – picchiaduro a scorrimento con qualche più o meno interessante enigma da risolvere e con numerosi boss davvero impegnativi da sconfiggere. Ma non aspettatevi una storia di Batman che vi cambi la vita com’era successo per Arkham Asylum, fumetto o videogioco.