Più che una caduta, nei primi minuti di operazioni, ieri Wall Street è sembrata cadere nel vuoto con l’indicesotto di oltre mille punti – record storico (ma non in termini percentuali) – prima di ritrovare una misura di stabilità.

Il terzo giorno di perdite ingenti dopo quelle di giovedì e venerdì scorso hanno «ufficializzato» il panico anche sui mercati americani, mai così volatili dalla crisi del 2007-8. Il recupero poi è stato altrettanto drammatico ma l’altalena veritiginosa dei titoli segnala una instabilità accentuata dalla percezione di una sindrome cinese tutt’altro che prevedibile, soprattutto in assenza di efficaci interventi monetari da parte di Pechino. Gli analisti hanno avuto un bel daffare a rassicurare i risparmiatori americani parlando di «correzione fisiliogica» o affermando, come ha fatto Kevin Rose che «se siete a più di dieci anni dalla pensione non avete nulla di cui preoccuparvi».

Rassicurazioni che hanno avuto solo l’effetto contrario di far intravedere l’incertezza degli operatori di fronte ad una crisi dai contorni globali difficilmente interpretabili e prevedibili. Un quadro in cui la Cina da grande rivale da contenere rischia di trasfomarsi in grande liability. La grande paura è che con la stagnazione europea, il rallentamento della fabbrica cinese possa minacciare la fragile ripresa americana fondata su crescita pur modesta di Pil, occupazione e ora anche mercato immobiliare.

Paradossalmente negli otto anni che ci sono voluti per riportare in positivo quegli indici, la finanza ha vissuto una vera e propria esplosione, più che triplicando il livello dal crack dei subprime. È l’argomento addotto da chi considera l’attuale correzione come parte di una fluttuazione strutturale e financo necessaria per riflettere l’economia reale.

Ma l’attuale crisi serve proprio ad illustrare il ruolo della finanza come motore speculativo di un economia fittizia sempre più rimossa da quella «reale» sulla quale ha nondimeno una pervasiva ingerenza, dalla gestione dei debiti sovrani all’instabilità dei mercati alla diseguaglianza nella creazione di benessere. Con gli effetti della crisi ingigantiti dalla speculazione globale si ha la sensazione che gli interventi dei governi stentino ad avere un effetto concreto.

Nei giorni immediatamente precedenti il tonfo, in Usa avevano ripreso a circolare insistenti le voci su un prossimo ritocco dei tassi da parte della Fed – il primo in otto anni.

Non è chiaro che effetto avrà l’attuale crisi sulla decisione della banca centrale americana che giovedì ospiterà banchieri e amministratori finanziari nell’annuale convegno di Jackson Hole.