Inamovibile. Domenico Arcuri è riuscito a sopravvivere a ben otto governi di centro-sinistra e di centro-destra, al «governo del cambiamento» e ora anche a quello «di svolta». Solo Giuseppe Bono – a capo di Fincantieri dal 2002 – lo batte come boiardo di Stato più longevo.

Domenico Arcuri, ad di Invitalia dal 2007

Arcuri è alla guida di Invitalia da sempre: dal 2007, anno del passaggio di denominazione da Sviluppo Italia. Dodici anni in cui l’Agenzia nazionale per l’attrazione investimenti e sviluppo d’impresa, di proprietà del ministero dell’Economia ma braccio armato del Mise – che ne ha anche la vigilanza – ha avuto come compito principale la gestione delle crisi industriali passate per il ministero dello Sviluppo. Nomi di aziende e luoghi diventati tristemente famosi: Alcoa di Portovesme, ex Fiat di Termini Imerese, Breda Menarini di Bologna, Irisbus di Valle Ufita, Bakaert di Figline Valdarno, Embraco di Riva di Chieri, solo per citare le più importanti. Ebbene, l’Invitalia di Arcuri è riuscita nell’impresa di non risolverne nemmeno una.
Di fallimento in fallimento, nessuno immaginava potesse sopravvivere anche a questa tornata di nomine. Sottovalutando il gattopardismo di Arcuri e della politica italiana. Perché la sua conferma viene data sia in «quota Conte», che «per convinzione del M5s» e «per richiesta del Pd». La motivazione più paradossale riporta alle parole di Patuanelli sulla possibilità di «rifare l’Iri». Dal curriculum di Arcuri è comparsa un’esperienza proprio all’Istituto per la ricostruzione. E immediatamente l’inamovibile Arcuri è diventato l’uomo giusto per far entrare Invitalia nell’ex Ilva così come in Alitalia.
Sarebbe stato meglio ascoltare uno delle migliaia di lavoratori rimasti a casa in questi anni. Anche per merito di Arcuri.