L’Isf (Impôt sur la fortune), cioè la patrimoniale, è il totem (e tabù) francese. Ad ogni manifestazione sociale viene reiterata la richiesta di rimettere l’Isf, per far fronte alla crisi. Lo ripetono molti economisti, come la premio Nobel Esther Duflo e Thomas Piketty. Emmanuel Macron, definito «il presidente dei ricchi», in realtà non ha abolito completamente l’Isf, ma l’ha limitata al solo patrimonio immobiliare, togliendo il capitale, «per tassare la rendita invece che il rischio», trasformandola in Ifi (Imposta sul patrimonio immobiliare), che applica aliquote progressive (dallo 0,5% all’1,5%) a partire da un patrimonio di 1.300.000 euro.

Nell’Unione europea, la patrimoniale è stata abolita dove c’era tra gli anni ’90 e il 2010 (Austria, Irlanda, Danimarca, Germania, Lussemburgo, Svezia, Grecia, Ungheria, Finlandia), mentre resta in alcuni paesi non-Ue, soprattutto perché sostituisce altre tasse (in Liechtenstein è allo 0,8% e sostituisce la tassa sul reddito da capitale, in Svizzera è applicata dai cantoni e prende il posto della tassa di successione quasi inesistente, è invece applicata ancora in Norvegia). Il problema europeo è la non armonizzazione della fiscalità, che mette in concorrenza i diversi sistemi fiscali: il capitale circola e non solo all’interno della Ue, e quindi è facile sfuggire alla patrimoniale, soprattutto per i miliardari, spostando la residenza fiscale nei paradisi anche europei, o costruendo raffinate scatole cinesi fiscali.

In Francia il primo tentativo di imporre una patrimoniale risale al 1914, quando il «padre» dell’imposta sul reddito, Joseph Caillaux, ministro delle Finanze di Clemenceau, viene però bloccato. Nel 1945, per far fronte ai debiti di guerra, viene introdotta l’Imposta di solidarietà nazionale, che verrà poi ripresentata dal primo governo di François Mitterrand, primo ministro Pierre Mauroy che la introduce nel 1982, sotto il nome di Imposta sulle grandi fortune.

Nel 1987, la destra vince le legislative e il primo ministro, Jacques Chirac, l’abolisce. Poi torna con i socialisti nel 1989 (governo Rocard, colpisce patrimoni superiori a 4 milioni di franchi, equivalente di 60mila euro) e durerà fino al 2017, sotto il nome di Isf.

Nel frattempo, ha perso vigore: la destra dal 2003 al 2005 la lima, nel 2007, Nicolas Sarkozy introduce lo «scudo fiscale» (che durerà fino al 2011) che non permette di pagare tasse superiori al 50% del reddito. François Hollande avrebbe voluto imporre un «contributo eccezionale del patrimonio», ma il Consiglio di stato ha imposto un tetto, perché la tassa non fosse «confiscatoria»: è allora che scoppia lo scandalo degli «assegni» del fisco, che restituisce soldi ai miliardari, come Liliane Bettencourt, la proprietaria de L’Oréal. Nel 2017, l’Isf ha fatto entrare nelle casse del fisco 4 miliardi (la paga il 2% dei contribuenti). Secondo l’Ifrap (think-tank sulle politiche pubbliche), dall’inizio dell’Isf in Francia c’è stata una fuga di capitali di 200 miliardi.