Per uno strano scherzo del destino, è venuto a mancare alla vigilia del 1 maggio, la Festa dei Lavoratori. Lui che, bluffando, si è sempre definito «un datore di lavoro, non un padrone». Non un capitalista, ma «un imprenditore industriale». Emilio Riva, classe 1926, patron dell’Ilva e della Riva Fire, è morto ieri a Milano all’età di 87 anni.

Era da tempo malato di cancro. Il ragiunatt, soprannome datogli dai suoi concittadini, conosciuto come «l’ingegnere dell’acciaio», dal 1954 in poi mise in piedi un vero e proprio impero. Nel 1964, installò, primo al mondo, la macchina a colata continua. Lascia al fratello Adriano, a figli e ai nipoti, un’azienda che oggi conta 38 stabilimenti in Italia e nel mondo (dal Canada alla Francia, dal Belgio alla Germania, dalla Spagna alla Tunisia), che impiega circa 25 mila dipendenti e che per decenni ha realizzato fatturati a nove zeri.

L’apice arrivò con l’acquisizione, nell’aprile del ’95, dell’Ilva di Taranto, il più grande siderurgico d’Europa. In un anno, tra il ’94 e il ’95, la produzione incrementò da 6 a 14,6 milioni di tonnellate e quella di laminati da 5 a 12,8 milioni di tonnellate. Del resto, quando arrivò in riva alla città dei Due Mari, mise subito in chiaro le cose: «Io so fare acciaio, di tutto il resto non m’interessa». L’arrivo a Taranto però, segnerà anche l’inizio della fine. Di un modo di fare industria, tutto italiano, senza regole, controlli, rispetto della legge e dei diritti dei lavoratori. Tristemente celebre, a tal proposito, la vicenda della palazzina Laf, salita agli onori della cronaca nel ’98: il luogo dove Riva fece «confinare» un gruppo di lavoratori che riteneva troppo sindacalizzati. Operai pagati regolarmente ma senza lavorare: chiusi in una palazzina-lager, dalla mattina alla sera; molti di loro non si sarebbero mai più ripresi psicologicamente. Per questa vicenda Riva verrà condannato e il caso passerà alla storia come il primo di mobbing sul lavoro in Italia.

Poi, nel luglio 2012, il tempo dei «giochi» e delle connivenze con il sistema Ilva (a cui hanno partecipato politici, sindacati, giornalisti, e una città per troppi anni colpevolmente silente e assente) finisce: la magistratura sequestra gli impianti dell’area a caldo, arresta Riva e gli altri componenti della famiglia (oltre al direttore dello stabilimento e a un gruppo di «fiduciari»): il reato è pesantissimo, associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale.

Oggi l’Ilva è commissariata sino al 4 agosto 2016. Il futuro, più che incerto, è nero. Il commissario Enrico Bondi non trova le risorse per il piano di risanamento ambientale della fabbrica, né per quello industriale oltre che per la manutenzione degli impianti. Dalla prossima settimana, per 2500 lavoratori si ricorrerà al contratto di solidarietà per un’ora al giorno. Ci sarà un taglio sugli straordinari, si fermeranno impianti per mancanza di commesse. E’ morto un uomo. Il suo impero ancora no. Ma ha i mesi contati.