Che tristezza queste regioni. La legge di stabilità, ignorando poteri sanciti e patti sottoscritti, ha dichiarato guerra agli sprechi umiliandole con altre restrizioni finanziarie. Con le voci stentoree di chi balbetta giustificazioni poco convincenti, con il cappello in mano, sono andate da Renzi a elemosinare un po’ di pietà.

Come dimenticare in questi anni la loro indignazione quando si tentava di ammansirne la dispendiosità, le loro rimostranze perché si ritenevano lese nelle loro potestà giuridiche anche mentre gli si chiedeva di rubare di meno, di fare meglio, di rispettare i diritti. Ma la crisi ha giocato contro di loro e nel tempo piano piano sono state costrette a svendersi pezzi di autonomia, di dignità, di credibilità, subendo commissariamenti, piani di rientro, tagli lineari, inchieste di ogni tipo.

Quella delle regioni non è di certo una fenomenologia dello spirito…. ma della decadenza… dove l’inclinazione è quella di grandi poteri che declinano nell’inettitudine, ma anche incalzati da poteri sopravvenienti… come dimostra proprio questa legge di stabilità.

Dal 2001 con il nuovo titolo V (potestà piena alle Regioni sulla sanità), la legge finanziaria in qualche modo iniziò a delegare la regolazione della spesa sanitaria ad accordi tra governo e regioni (i cosiddetti «patti per la salute»). Oggi il governo Renzi sta riscrivendo il titolo V (meno poteri alle regioni, più poteri allo stato centrale) e nello stesso tempo la sua legge di stabilità si sta riprendendo per intero tutto lo spending power che in questi anni è stato condiviso con le regioni.

Oggi il «patto per la salute» siglato appena questa estate e che pur ha definito il fabbisogno finanziario della sanità, è diventato quello che noi temevamo cioè un accordo virtuale (vedi il manifesto del 12 settembre).

Il patto non è riuscito a proteggere le regioni dalla legge di stabilità che come è noto sta imponendo loro tagli lineari complessivamente per 4 mld, 2 dei quali interessano proprio la sanità. Il fondo sanitario nazionale 2015 concordato con il patto per 2 mld in più rispetto al 2014 (112 mld) è di fatto decurtato.

Annullando tale crescita la legge di stabilità è come se annullasse l’accordo che la prevedeva. Avvalendosi di una clausola di compatibilità contenuta nel patto, il governo ha subordinato la quantificazione del Fsn al «conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica». In sintesi, il governo per avere piena capacità di spesa si riprende tutto lo spending power riducendo le intese con le regioni a simulacri vuoti.

Renzi ci ha spiegato che i tagli alle regioni sono giustificati certo dalla manovra di 36 mld ma soprattutto dagli sprechi che esistono in generale nelle regioni e in particolare nella sanità. Il ragionamento teoricamente non fa una piega: dal momento che esistono gli sprechi i tagli sono sostenibili, cioè essi non dovrebbero intaccare i redditi delle persone e i servizi alle persone ma, aggiungiamo noi, solo se le regioni intervengono davvero sugli sprechi.

Le regioni, come è noto, hanno reagito minacciando altre tasse e altri tagli ai servizi e dopo un inconcludente incontro con il governo, stanno cercando altre soluzioni. Ma trovare altre soluzioni e qui entriamo nel pieno del paradosso significa che gli sprechi di cui parla il governo non si toccano e che i tagli saranno scaricati altrove.

La nozione di «spreco» oggi quindi sta assumendo una valenza politica senza precedenti: esce dai luoghi della descrizione e della denuncia in cui era confinata (Corte dei Conti, Nas, guardia di finanza, Agenas, media) ed entra in quelli delle responsabilità di governo come un grande problema di moralità pubblica.

Ammettere l’esistenza degli sprechi è come dire che una parte della spesa sanitaria è immorale, che l’immoralità non è rifinanziabile, che nessuna difesa è possibile se il finanziamento è indistinto.

Con questi presupposti, se i tagli sono impiegati per combattere l’immoralità pubblica acquisiscono paradossalmente una utilità pubblica.

Ne consegue che è doppiamente immorale che per difendere gli sprechi si riducano i diritti delle persone. Per le regioni questo teorema è letale, per cui non meraviglia se esse, spalleggiate da compiacenti economisti sanitari, stanno facendo di tutto per spostare il tiro dagli sprechi su nuovi ticket da imporre alle persone e sul ridimensionamento delle tutele di diritto (Lea).

Ma perché dopo anni di aziendalismo, di efficientismo, di marginalismo, le regioni sono così contrarie all’abolizione degli sprechi ? Gli sprechi non sono semplicemente delle spese poco accorte ma sono i prodotti tossici del malgoverno regionale, eliminare gli sprechi quindi non è una semplice operazione di buona amministrazione ma è ribaltare i modi di fare politica, cioè dipanare i viluppi che intrecciano sanità e gestione, sanità e malaffare, ecc.

Gli sprechi appartengono ad un genere di immoralità pubblica che si articola in tante specie e tanti tipi di immoralità e che vanno dalle famose siringhe alle mazzette per rinnovare le convenzioni con il privato ai servizi creati per i raccomandati fino a giungere a interi ospedali creati esclusivamente per interessi politici.

Gli sprechi in tutti questi anni hanno finanziato il consenso politico, le clientele, il voto di scambio, la lottizzazione. Per le regioni quindi fare la guerra agli sprechi sarebbe come darsi la zappa sui piedi.
La prova di ciò è proprio nel «patto per la salute» sottoscritto questa estate, dove si parla di spending review ma non di lotta agli sprechi. In tutti questi anni le regioni per risparmiare non sono intervenute sugli sprechi ma sui redditi delle persone con i ticket, sui servizi con ogni tipo di restrizioni, sulle tutele delle persone, sul numero di posti letto ecc.. Oggi le regioni sono spinte verso soluzioni contro-riformatrici cioè verso l’universalismo selettivo tanto caro ad assicurazioni e mutue.

Per la prima volta le ragioni della immoralità pubblica rischiano di saldarsi con quelle della speculazione finanziaria. Regioni e assicurazioni oggi hanno paradossalmente gli stessi interessi.
Chiediamo alla ministra Lorenzin e al governo: cosa intendono fare per proteggere la nostra sanità pubblica dall’immoralità e dalla speculazione?