È da poco approdato su Netflix Disclosure, documentario di Sam Feder dedicato alle rappresentazioni di persone trans nel cinema e nella televisione Usa. Presentato in anteprima all’ultimo Sundance, il film è prodotto da Amy Scholder e Laverne Cox, star di Orange is the new black che compare anche tra le intervistate a dimostrazione del fatto che questa volta a parlare di scambi di genere, transizioni, corpi transessuali o transgender sono le persone direttamente coinvolte. Lilly Wachowski, Jen Richards, Chaz Bono, Trace Lysette, Alexandra Billings, Jamie Clayton sono solo alcune delle guide in questo viaggio attraverso più di cent’anni di immagini in movimento e di cultura mediatica, da Old maid having her picture taken (1901) a Boys don’t cry passando per Victor Victoria, Tootsie, La moglie del soldato, scene di telefilm come I Jefferson, Nip/Tuck, Sex and the city o i talk stile Oprah Winfrey.

Il film sottolinea così che le persone trans sono state presenti sullo schermo sin dagli albori del cinema popolare e della tv ma quasi sempre ridicolizzate, vessate con domande indesiderate sui genitali e rappresentazioni in cui la dissidenza di genere si lega a squilibrio mentale, disgusto, crimine, morte. Basti pensare a come Ace Ventura ha legittimato presso il grande pubblico l’idea che alla vista di una persona trans si possa reagire vomitando. Il meno peggio che ci si potesse aspettare un tempo erano pietà e feticismo. Ma le cose stanno cambiando, come dimostra la serie Pose, esito di un lavoro collettivo che ha preso sul serio il sapere trans.

EPPURE, come nota Laverne Cox, viviamo un tempo paradossale: «Per la prima volta le persone trans prendono le redini della propria rappresentazione. Siamo in un’epoca di visibilità senza precedenti ma allo stesso tempo veniamo assassinate in maniera sproporzionata rispetto al resto della popolazione. Più siamo visibili, più siamo oggetto di violenza». Basterebbe pensare alle polemiche di questi giorni accese dalle dichiarazione dell’autrice di Harry Potter, J.K.Rowling, secondo la quale il sesso è «reale» – «sex is real» – ovvero determinato unicamente dalle caratteristiche biologiche (uomo/donna).

Quel che urta transfobici di ogni risma è il desiderio di libertà e autodeterminazione espresso da soggetti la cui stessa esistenza denaturalizza il genere. È dunque per il modo in cui ci interrogano sui rapporti che intendiamo stabilire tra natura e cultura al punto che, come nota Susan Stryker, autrice, tra l’altro, di Transgender History (2008): «Oggi le questioni trans hanno assunto un ruolo di primo piano nelle guerre culturali». In tutto questo le immagini hanno una funzione determinante ma non si tratta di intervenire a colpi di censura né di ipocrisie politicamente corrette bensì di rispettare il diritto di tutt* di esistere fuori e dentro lo schermo.

«LE IMMAGINI condizionano le nostre vite perché le interiorizziamo, le usiamo per imparare cosa ci si aspetta da noi. Ho l’impressione che oggi il clima generale attorno alle persone trans stia cambiando anche grazie al fatto che cambiano le rappresentazioni, e questo permette a chi è giovane di acquisire più facilmente consapevolezza di sé e di avere maggiore fiducia nelle reazioni che la propria famiglia o il mondo esterno potrebbero avere», ci dice Leonardo Arpino, attivista che su «La Falla», periodico del Cassero Lgbt Center di Bologna, ha scritto positivamente di Disclosure: «Per una volta ho l’impressione che un film non si rivolga esclusivamente a un pubblico cis ma anzi sia parte di una presa di coscienza della stessa comunità, mettendo in circolazione la storia di come siamo stat* raccontat* e di come è possibile cambiare adesso quelle narrazioni quando chi produce o dirige è trans. Mi dispiace solo che il film evochi il femminismo identificandolo con posizioni trans-escludenti ma spero che il pubblico sappia prendere distanza da questa semplificazione».

Peccato anche che Netflix Italia presenti Disclosure parlando di «artisti straordinari» e di «rappresentazioni dei trans» con un linguaggio tutto al maschile che dimostra la necessità di una più ampia cultura di genere capace di esprimersi adeguatamente. Anche perché le persone trans esistono da sempre fuori e dentro lo schermo ed è ora di scrivere una storia che ne tenga conto.

E se al momento non si parla d’altro che di Disclosure, merita di essere recuperato anche We’ve been around, una serie di brevi film che celebrano le vite di persone transgender attraverso epoche storiche diverse: da Albert Cashier, che combatté la guerra civile americana, a Lou Sullivan attivista anti-Aids, passando per veri e propri numi tutelari della storia Glbtqi+ come Leslie Feinberg o Marsha P. Johnson. La serie ha circolato in Italia grazie al festival Divergenti di Bologna e al Divine Queer Festival di Torino.

ALTRA SERIE di ritratti di FtM o MtF, ma focalizzata sul mondo delle arti, è Salon de T realizzata ormai una decina di anni fa dalla vulcanica Hélène Hazera e visibile su vimeo. Tra gli episodi episodi, si segnala l’intervista di Hazera e Christophe Martet all’artista digitale Farah Diod, fotografa, pioniera della computer grafica, dei visual in 3D e delle interazioni con la musica sintetica, che lavorò diversi anni a Canal+ realizzando le sigle di programmi e collaborò con Jean-Michel Jarre per le proiezioni a un suo mitico concerto alla Concorde.

Quando morì nel 2012, Alain Burosse, Jean-Baptiste Erreca e Sébastien Petit le dedicarono un omaggio intitolato Farrah, l’Être Ange presentato per la prima volta al festival parigino Chérie Chéries e ora anch’esso disponibile su vimeo. «Per me le persone trans sono delle presenze sciamaniche», ha detto una volta Hazera ai microfoni di France culture dove per anni ha lavorato come curatrice di una trasmissione musicale dopo essere stata giornalista a «Libération». Attiva nel FHAR negli anni ’70, Hazera è stata una delle mitiche Gazolines, le «folles» di cui parla Mario Mieli nelle sue cronache parigine e con cui Ado Arrieta fece i suoi primi film. Seguire le traiettorie di personaggi dalle vite così intense, in transito o in sosta lungo il continuum delle identità e delle sessualità, è un modo di ri-attraversare la storia collettiva con occhi del tutto nuovi capaci di rinnovare e arricchire gli immaginari.