Oggi che la bandiera di Charlie Hebdo e della libertà d’espressione viene agitata strumentalmente anche dai tanti maitres à penser della nuova destra, reimmergersi nello spirito ribelle delle controculture che nella seconda metà del secolo scorso contaminarono la società francese, i suoi costumi, le pratiche artistiche e militanti può rivelarsi un salutare esercizio «critico» oltrechè un’operazione decisamente ludica.

L’occasione la fornisce la mostra organizzata dalla Maison Rouge di Parigi (visibile fino al prossimo 21 maggio) il cui titolo «L’Esprit Francais» è già di per sé ricco di significati. Come ricordano i curatori Guillaume Désanges e Francois Piron, in tempi in cui il riferimento a presunte caratteristiche culturali nazionali «è diventato tabù nel mondo dell’arte», affermandosi egemonicamente altrove, spostare il cursore e scommettere sull’esistenza di una peculiarità francese al di fuori dei confini della cultura ufficiale è una scelta in qualche modo politica.
Il presupposto è che «quello che il paese ha prodotto di migliore sia nato ai margini», in quella nebulosa sperimentale che per due decenni investì e contaminò il cinema, la musica, la televisione, la grafica ma anche la psichiatria, la scuola, l’architettura mescolando spinte ideali e pulsioni nichiliste, humour caustico, dissacrante e disagio, individualismo estremo e utopie collettive.

Oltre il ’68

Figlie del ’68 le controculture nè presero anche congedo annunciando la crisi del lavoro, il precariato diffuso, la fine delle ideologie del Novecento. La mostra, per il visitatore italiano è interessante anche per i continui rimandi che si instaurano con quanto alla stessa epoca avvenne nel nostro paese. Il pensiero corre al ’77 di cui si celebra quest’anno il quarantennale, e alle tante affinità e alle innumerevoli divergenze prodotte al di qua e al di là delle Alpi lungo l’arco di un ventennio che si chiuse alla fine degli anni Ottanta, nel 1989 più precisamente. L’anno del crollo del Muro che in Francia fu anche l’anno delle celebrazioni del Bicentenario della Rivoluzione e del recupero, pacificato e consensuale, del potenziale sovversivo dell’iconografia rivoluzionaria.
Da Serge Gainsbourg che distorce la Marsigliese in versione reggae alle femministe che depongono una corona di fiori sotto l’Arco di Trionfo in onore alle donne dei militi ignoti, dalle copertine di Hara Kiri ( il ‘padre’ di Charlie Hebdo a cui ci riferivamo in apertura) alle manifestazioni degli artisti contro l’esposizione Pompidou del 1972: una contestazione ironica e spesso insolente prese di mira in quegli anni il sistema di valori dominante, sfidando divieti e censure.

I manifesti militanti del 68 annunciavano la fantasia e l’immaginazione al potere ma la loro veste grafica e i loro slogan avevano ancora l’austero grigiore di un militantismo rigido e moralista.
Le nuove pubblicazioni e i nuovi volantini underground persenti in quantità sulle pareti delle sale della Maison Rouge, mescolano invece politica, arte, ecologia, sessualità. Sono colorati. Propongono tavole decostruite e détournement in serie. Lo spirito è neodadaista e l’influenza evidente è quella della free press americana.

La circolazione di questo eterogeneo materiale si fa anch’essa attraverso canali alternativi. Nascono librerie di movimento, luoghi di ritrovo e squats come quello delle Halles, il ‘ventre di Parigi’ dove sorgevano i Mercati Generali distrutti nel 1971 e nella cui fossa-cantiere, in attesa della trasformazione in centro commerciale, Marco Ferreri girò Non toccare la dama bianca, parodia della battaglia di Little Big Horn, con gli sfrattati del quartiere nelle vesti degli indiani in lotta contro il generale Custer. Nella fossa delle Halles, una sorta di proto-TAZ anti-speculazione, gli studenti di architettura e della Scuola di Belle Arti organizzavano happenings e concerti, creavano fanzines in cui veniva denunciata la violenza della polizia nello sgombero della zona. Vennero presentati numerosi controprogetti urbanistici e architettonici mentre il contestato progetto ufficiale affidato all’architetto Emile Aillaud verrà messo alla berlina nella rivista L’ivre de pierres che pubblicherà anche un delirante e iconoclasta «Partenogenesi architettonica» immaginata dal pittore Jean Criton.
Si formano i primi gruppi di giovani delle banlieues, figli di immigrati che denunciano l’esclusione e l’ipocrisia di un sistema egualitario solo a parole che rifiuta di fare i conti con il proprio passato coloniale e costruisce ghetti per i suoi cittadini di serie B.

La contestazione al modello di famiglia patriarcale e le rivendicazioni di genere ingrossano lefila del movimento femminista e provocano la nascita dei primi gruppi organizzati omosessuali come il Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire da cui fuoriusciranno le lesbiche dissidenti Les Gouines Rouges che dalle pagine prima di Tout! e poi di Le Fléau social e Antinorm attaccano l’FHAR accusandola di fallocrazia.
Dopo il fallimento sul piano strettamente politico della rivolta del ’68 l’attacco al sistema è infatti sempre meno frontale ma non per questo meno radicale. Si sperimentano strategie di exit , modelli di vita e di esistenza alternativi. L’emergere dell’antipsichiatria produce ad esempio un’esperienza come quella della Clinique de la Borde creata da Jean Oury nel 1963 dopo un epica fuga da una struttura psichiatrica tradizionale di pazienti internati e medici. A La Borde dove per molto tempo lavorò anche Felix Guattari è l’istituzione a «dover essere curata», degerarchizzata.
I dispositivi repressivi e di potere che determinano l’approccio alla malattia mentale vengono decostuiti e smontati nella pratica e nella teoria. Sulla scorta dei lavori di Foucault anche la scuola e le prigioni vengono investite dalla contestazione alle istituzioni totali.
Jules Celma pubblica il suo Journal d’un éducastrateur. La pedagogia sperimentale teorizza l’emancipazione dell’infanzia dai vincoli imposti dal mondo adulto. Il disegno, il fumetto, il gioco diventano uno spazio di libertà, un rifugio capace di attirare una moltitudine di artisti. I confini sono porosi, continuamente rimessi in discussione. Roland Topor mentre realizza la serie televisiva per l’infanzia Teléchat adatta al grande schermo la biografia del marchese De Sade. «La scuola puzza» titola nel 1973 la copertina di un altra rivista storica come Actuel (che ispirerà non solo per la sua veste grafica Frigidaire…) mentre l’ateismo radicale del Marchese ispira i disegni ossessivi di Pierre Klossowski, le fantasie onaniste di Pierre Molinier, le pitture erotiche e anticlericali di Clovis Trouille e i primi lavori della performer Orlan.

Donne, omosessuali, studenti, artisti, immigrati, detenuti. La presa di parola investe tutti i settori della società. La crisi morde e la Francia è in ebollizione. Inquieta. La protesta alla fine degli anni ’70 non è più solo creativa ma anche violenta come violenta è spesso anche la risposta dello Stato. Non si rivendica un posto nella società ma la distruzione pura e semplice delle norme che la sorreggono. Il nemico pubblico numero 1 il bandito Jacques Mesrine che poi verrà ucciso dalla polizia in uno scontro a fuoco, secondo i sondaggi, risulterà la personalità più amata dai francesi nell’anno 1978. L’aggressività punk sostituisce lo spirito hippie. A far parlare di sé sono band come i Berurier Noir con i loro inni distopici e no future colonna sonora della mostra nell’installazione che Claude Léveque concepì nel 1987 e che ora presenta per la prima volta.
Più che la costruzione di un’alternativa ai modelli esistenti questa Babele ribelle assunse spesso i tratti di una rivolta anarchica e individualista attratta dal tutto e subito e dal qui ed ora.

Gli anni Mitterrand, le paillettes, il riflusso

Il 1981, anno dell’elezione di Francois Mitterrand all’Eliseo segna una svolta, politica ma anche culturale. La dissidenza artistica non viene più repressa e marginalizzata come prima ma finisce per essere in qualche modo recuperata e ammansita.
L’underground entra nel tritacarne del consumo mainstream. Vengono gettate le basi di una ‘democrazia festaiola’ simbolizzata ad esempio dall’isitituzione della Giornata della Musica da parte del Ministro Jack Lang. «I contenuti più radicalmente politici – come osservano i curatori Francois Piron e Guillaume Désanges – vengono annacquati nel decoro». La ‘società dello spettacolo’ teorizzata da Debord dispiega tutta la sua potenza seduttiva creando personaggi e icône reclutate nel mondo della scena alternativa e che diventeranno star riconosciute da tutti, balsfeme, eccentriche e kitch. E’ il caso degli artisti Pierre e Gilles, della trans Marie France, di Alain Pacadis, garcon maudit delle notti parigine, che dalle pagine del giornale Libération racconterà le nuove tendenze del punk e della new wave, le folli serate della discoteca Palace, l’edonismo disperato, narcisista e disilluso di una generazione risucchiata poi in massa nella droga e decimata dall’epidemia di AIDS.
Questa parabola che conduce le controculture nell’alveo mainstream è ben esemplificata dall’epopea delle radio pirata (Radio Verte, Radio Riposte, Radio Ivre le più famose) fiorite alla fine degli anni 70 a Parigi ma anche nel resto del paese e poi in qualche modo legalizzate con l’apertura dell’etere decisa dai socialisti al potere. Inizia allora il biennio delle radio libere, tra le quali l’indimenticata Carbone 14, una sorta di Radio Alice, animata da collettivi e personaggi come Siné, Gainsbourg, Colouche. Puerile, sovversiva, romantica, confusionaria. Ingestibile. Radio Carbone non sopravviverà alla riforma con cui nel 1983 il governo decide di mettere ordine nell’etere. L’assegnazione delle frequenze verrà regolamentata aprendo la strada al dominio delle radio private e commerciali. La ricreazione è finita. E come scrive Gilles Chatelet, attivista e filosofo gay morto suicida, «le lancette dell’orologio vengono sintonizzate sull’ora di una nuova rivoluzione ma stavolta neoconservatrice»