Ogni anno, il 20 aprile, la piccola cittadina austriaca di Braunau am Inn, al confine con la Germania diviene meta di pellegrinaggio da parte di gruppi neonazisti provenienti da tutta Europa. E ogni anno, quel giorno, gli abitanti di Braunau am Inn guardano con un misto di disgusto, curiosità – e alcuni addirittura con rinata simpatia – questa ciurma variegata di teste rasate.
Qui, a Branau il 20 aprile 1889 Klara Polzl, moglie di Alois Hitler diede alla luce il suo terzogenito: Adolf. Sebbene il piccolo Adolf rimase nella casa natale per soli tre anni, l’edificio è ancora lì, al numero 15 di quella che oggi è Salzburger Vorstadt diventando il simbolo, ormai non tanto solo allegorico, della rinascita neonazista europea.
Il Führer visitò l’edificio il 12 marzo 1938, subito dopo l’Anschluss, accolto festosamente dai suoi concittadini. In seguito la città di Braunau cominciò a essere meta di pellegrinaggi da tutto il Grossdeutsches Reich.

Nel maggio 1945 l’esercito statunitense impedì alle truppe tedesche di demolire l’edificio e da allora la casa natale del Fürher divenne un «ingombro» per la cittadina, tornata ad essere l’anonimo, piccolo villaggio sulla frontiera austro-tedesca lungo il fiume Inn che era stata fino al 1938.
Nel 1952 il governo austriaco riconsegnò la proprietà dell’edificio (circa ottocento metri quadrati disposti su tre piani) alla famiglia Pommer che l’aveva acquistato nel 1913. Nel corso degli anni lo stabile ospitò la biblioteca comunale, venne dato in gestione a una banca, trasformato in scuola superiore ed infine affittato per 4.800 euro al mese alla Lebenshilfe, un’organizzazione caritatevole che convertì la casa in un centro per disabili. Nel 2011 l’associazione dovette abbandonare le sale perché l’attuale proprietaria, Gerlinde Pommer, non concesse l’autorizzazione per adeguare i suoi interni ai bisogni degli ospiti.

La stessa ha sempre respinto le offerte di acquisto avanzate dalle autorità locali nel tentativo di gestire il problema della propaganda neonazista respingendo anche la richiesta dell’allora sindaco di Braunau, Hermann Fuchs, di apporre sulla facciata della casa una targa commemorativa. Nel 2016 iniziò un lungo contenzioso con il governo di Vienna conclusasi solo nell’agosto 2019 quando la Corte suprema austriaca obbligò la caparbia Fräu Pommer a vendere la proprietà dietro un compenso di 810mila euro (contro i 1,5 milioni richiesti).
Il Ministero degli interni ha quindi approvato un piano per «prevenire per sempre la coltivazione, la promozione e il proselitismo dell’ideologia nazionalsocialista o una commemorazione in senso positivo del Nazionalsocialismo» annunciando «cambiamenti architettonici radicali all’edificio per impedirne l’identificazione della proprietà e privarla del suo potere simbolico».
Non è ancora chiaro, però, cosa il governo austriaco voglia fare della casa natale di Hitler ed eventualmente verso quale destinazione dirottarla. Le dichiarazioni dei vari funzionari sono contraddittorie e fumose: c’è chi propone l’abbattimento dell’intero edificio, chi una ristrutturazione, chi ancora immagina una destinazione museale.
La decisione, comunque, ha scatenato polemiche tra chi vorrebbe mantenere intatto l’edificio e il ricordo della tragedia a esso collegata e chi, invece, come già accaduto per molte (troppe) opere in Germania, vedrebbe di buon occhio la demolizione totale di quello che è diventato un monumento forse scomodo per molti austriaci, troppo morbidi con il regime nazional-socialista.