«L’Ilva non può chiudere, l’Ilva non chiuderà». Dal Colle in giù il messaggio che, formalmente o informalmente, viene lanciato è questo. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri lo rende esplicito citando Mario Draghi: «Faremo whatever it takes». Meglio non insistere su cosa si intenda per «whatever». Al momento non lo sa nessuno. Stamattina Giuseppe Conte incontrerà i vertici di ArcelorMittal e si presenterà a muso duro: «Saremo inflessibili. Lo scudo non è previsto nel contratto. Le regole si rispettano». Nessuno si illude davvero che basti a far retrocedere la multinazionale anglo-indiana.

DOMANI ALLE 14 il ministro Stefano Patuanelli sarà al Senato per un’informativa che non soddisfa le opposizioni. Volevano Conte in aula e lo voleva anche il Pd, che ha spedito apposita missiva, salvo poi votare contro la richiesta di convocare il presidente del consiglio oggi stesso. Una piroetta che si spiega in un modo solo: Conte deve riferire, sì, ma quando saprà cosa dire. Quando avrà trovato un filo da seguire per uscire dal labirinto. Perché la grana Ilva, un guaio che Svimez stima in oltre 50mila potenziali licenziamenti tra fabbrica e indotto e in una perdita dell’1,2% del Pil, è precisamente questo: un labirinto.

Matteo Renzi, con una delle sue abituali mosse a sorpresa, si è schierato ieri con Conte. «Ha ragione. Mittal deve rispettare il contratto. Io non sto lavorando a cordate, ma se Mittal recede si passa al secondo arrivato». Che sarebbe Jindal con il corposo contributo della Cassa depositi e prestiti. Solo che quella cordata non esiste, e in serata la sottosegretaria allo Sviluppo Alessia Morani (Pd) ufficializza quel che già tutti sanno: «Quella cordata non c’è più». Strada sbarrata. Il leader di Italia Viva si dice convinto che gli indiani stiano cercando solo un pretesto. Però l’emendamento per reintrodurre lo scudo penale a partire dal 3 novembre e fino alla scadenza per l’attuazione del piano ambientale lo presenta lo stesso: «Per togliere alibi». Con lo stesso obiettivo, nell’aula del Senato, il capogruppo di Iv Davide Faraone invita la Lega e tutta l’opposizione a votarlo. Forse l’emendamento sgombrerebbe il campo da scuse e pretesti. Di certo terremoterebbe la maggioranza, provocando una scontro dalle conseguenze potenzialmente incalcolabili con i 5 Stelle.

IL PD È CONSAPEVOLE di non potersi muovere su quel terreno. I vertici del Nazareno, sia interni che esterni al governo, sanno benissimo che alternative a ArcelorMittal per ora non ce ne sono e che l’unica via per convincere la multinazionale a ripensarci è reintrodurre quelle garanzie che anche i sindacati invocano a voce altissima. Non con un emendamento però, perché quella via è sbarrata dai pentastellati. Magari con qualche garanzia che non obblighi al voto parlamentare, che permetta di dire e non dire, accompagnata da un aumento del sostegno sia dello Stato che dell’Unione europea.

Neppure questo sentiero, peraltro stretto e molto tortuoso, è però sminato. Ieri, nel dibattito al Senato sulla richiesta di convocare subito il premier Conte, il Movimento 5 Stelle ha scelto di far intervenire Barbara Lezzi, la più ferma nell’opporsi allo scudo. Una decisione che era già di per sé un messaggio preciso. L’ex ministra non ha deluso. «Tra le multinazionali e gli italiani, prima gli italiani», ha urlato rivolta alla Lega. Ma già dalle prime parole ha chiarito di essere da sempre ostile allo scudo: «Non ce n’è bisogno. Basta che Mittal rispetti il Piano e non ci sarà alcuna necessità di uno scudo che nel contratto non era previsto». Uscendo dall’aula Lezzi rincara: «Io ho una sola parola». La fedeltà a quella parola arriverebbe sino al punto di provocare la crisi? «Sarei disposta a questo, nella misura in cui si parla della tutela della salute di un territorio che coinvolge migliaia di cittadini». Vicolo cieco anche qui, perché Barbara Lezzi non parla a titolo personale ma ci sono 35 senatori pentastellati pronti a seguirla costi quel che costi. Bastano e avanzano per far cadere il governo. Poco dopo infatti il Blog delle Stelle sottoscrive: «Non permetteremo ricatti di una multinazionale allo Stato italiano».

IN SERATA CONTE, a cui non difetta l’ottimismo, si dichiara «fiducioso» nell’incontro di stamattina. Ma la via per uscire dal labirinto, se la fiducia si dimostrerà mal riposta, non la conosce nemmeno lui.