Dopo la sentenza del Consiglio di Stato, la partita sull’ex Ilva torna a giocarsi inevitabilmente sul piano ambientale. La sostenibilità del processo produttivo, attraverso una transizione energetica annunciata da tempo, è difatti l’unica concreta possibilità di tirare fuori dalle sabbie mobili una vertenza che si trascina oramai da troppi anni.

Come questo avverrà non è però a tutt’oggi del tutto chiaro.

L’accordo di co-investimento siglato nel dicembre dello scorso anno tra ArcelorMittal ed Invitalia, che sancì l’ingresso graduale dello Stato nel capitale sociale dell’azienda sino al 2022, parlava infatti dell’introduzione nel ciclo produttivo del preridotto (un semilavorato siderurgico contenente prevalentemente ferro metallico), che andrebbe ad alimentare uno o più forni elettrici (non è ancora dato sapere quanti effettivamente saranno) ed in parte l’altoforno 5 (che subirà un revamping) e l’altoforno 4 (visto che gli altri due Afo1 e Afo 2 pare siano destinati ad una prossima estinzione nei prossimi anni).

Il preridotto, prevedeva sempre il su citato accordo, dovrebbe essere realizzato qui a Taranto attraverso la costruzione di ben due impianti di produzione, che sorgerebbero in un’area esterna al siderurgico. Di questo si dovrà eventualmente occupare una new.co esterna alla società.

Che la questione ambientale sia oramai dirimente, lo dimostra anche il fatto che Acciaierie d’Italia, la società nata dopo l’accordo di dicembre, poco dopo la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato, abbia diramato una nota nella quale afferma di «essere pronta a presentare già dalla prossima settimana, insieme con i suoi partner industriali Fincantieri e Paul Wurth (ex Italimpianti), la propria proposta di piano per la transizione ecologica dell’intera area a caldo dello Stabilimento di Taranto, tramite l’applicazione di tecnologie innovative ambientalmente compatibili e con l’obiettivo di una progressiva e costante riduzione delle quote emissive, che vada anche oltre le attuali prescrizioni». Dichiarandosi pronta «a verificare la proposta di piano di transizione ecologica e trasformazione industriale con tutti i soggetti coinvolti, dalle Istituzioni alle comunità locali, al sindacato e agli operatori dell’indotto».

In realtà non si tratta di una vera e propria novità.

Lo scorso aprile infatti, venne annunciata la firma di un Memorandum d’intesa (MoU) per l’eventuale realizzazione di un progetto finalizzato alla riconversione del ciclo integrale. Ma i dettagli non sono stati ancora resi noti.

Ma è da lì che bisognerà per forza di cose passare. Lo sa il ministro Giorgetti, che sempre ieri ha dichiarato in maniera sibillina che «il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone. Obiettivo è rispondere alle esigenze dello sviluppo della filiera nazionale dell’acciaio accogliendo la filosofia del Pnrr recentemente approvato».

Sul vago è rimasta anche Vannia Gava, sottosegretario alla Transizione ecologica e responsabile del dipartimento ambiente della Lega, che in una nota ha ribadito come «la priorità è il diritto alla salute per un territorio che ha sofferto moltissimo». E che «se il nuovo piano industriale fondato sui principi dell’economia circolare sarà efficace, non solo saprà garantire la continuità della produzione e dunque migliaia di posti di lavoro, ma consentirà di proseguire nella produzione di acciaio di grande qualità con metodologie non inquinanti». Con quali e quante risorse però non è ancora chiaro, visto che l’Ue difficilmente consentirà l’utilizzo delle risorse del Prnn per la transizione energetica di industrie ad alto impatto ambientale.

Sullo sfondo resta il riesame del Piano Ambientale del 2017, la cui scadenza è prevista nel 2023. I lavori coordinato dal Mite sono ancora in corso, ma un primo studio di Valutazione del Danno Sanitario ante operam, ha messo nero su bianco che senza la realizzazione degli interventi previsti, la produzione pari a sei milioni di tonnellate annue presente un ‘rischio sanitario minimo non accettabile’ per i residenti dei quartieri limitrofi al siderurgico. Qualunque altro piano industriale, non potrà che passare da queste valutazioni.